Milano, 2 nov. (askanews) – Un vecchio pallone può trasformare la strada di un campo profughi in uno stadio dei mondiali” e anche uno dei luoghi più bui della storia recente può essere raccontato dall’arte, scatenando un successo di pubblico tanto inatteso, quanto incoraggiante. L’artista mantovana Chiara Dynys si commuove ancora quando parla del suo progetto, germogliato quasi dieci anni fa, nei campi profughi di Sabra e Shatila, come un fiore tra le macerie della guerra. E oggi, proprio quel progetto diventa un successo clamoroso di pubblico, un successo culturale, che racconta il Medio Oriente, proprio come lo vivono i più piccoli e più innocenti. Coloro che non scelgono ma si adattano meglio degli altri a qualsiasi realtà. Con la stessa ingenuità e la stessa normalità nel vivere una regione del mondo che di normale ha davvero poco. “Ho concepito questo progetto nel 2010 quando iniziavano le prime dimostrazioni in Siria e i siriani cominciavano già alla fine di quell’anno a rifugiarsi nei campi di Sabra in Libano” racconta Dynys ad Askanews. “Mi è sempre interessato visitare quel luogo così vicino a Beirut e al lusso dei quartieri alti, ma nello stesso tempo così inaccessibile e ancora tormentato dai trascorsi tragici: mi procurai le chiavi d’accesso per fare riprese (cosa che la gente del luogo mal sopporta). Ero molto contenta anche se sapevo che sarebbe stato in ogni caso rischioso”.
Da allora sono passati due lustri, ma l’idea non ha perso smalto. Anzi in questi giorni, il grande successo di pubblico e critica per “Sabra Beauty Everywhere”, la mostra di Dynys, curata da Gabriella Belli e ospitata nella Sala delle Quattro Porte del Museo Correr di Venezia, ha portato a una proproga, fino al 12 gennaio 2020. A disposizione del pubblico circa due mesi in più per visitare l’esposizione che presenta con forza e delicatezza il racconto dei bambini nei campi profughi: un’infanzia che resiste, senza perdere incanto e ingenuità, persino laddove la vita sembra riservare solo pericolo e miseria. (Segue)