Roma, 26 apr. (askanews) – Solo quattro settimane dopo che lo Stato Islamico (Isis) è stato cancellato in Iraq e in Siria, il gruppo terroristico ha ricordato a tutto il mondo, e in modo drammatico, che non ha bisogno di controllare il territorio per essere una grande minaccia. Lo ha fatto con la rivendicazione degli attacchi di domenica in Sri Lanka che sono costati la vita ad almeno 253 persone. Il New York Times in una lunga analisi mette in guardia dal pericolo della jihad globale in Paesi lontani dal Medio Oriente come le Filippine e la Repubblica Democratica del Congo.
“L’Isis non è alla disfatta; non è sconfitto”, afferma in un post su Twitter, Laith Alkhouri, un alto dirigente di Flashpoint, organizzazione che valuta la minaccia terroristica globale, come riferisce il quotidiano Usa. Per Alkhouri, il Califfato “non è un’organizzazione basata sui membri. E abile nel riorganizzare e modificare la propria strategia per adattarsi all’evoluzione del panorama della sicurezza in tutto il mondo”.
Per gli esperti citati dal Nyt, il gruppo si è semplicemente spinto a sfruttare le risorse disponibili e la notorietà che ha guadagnato come marchio globale: “Con la sua gerarchia di comando e controllo in Siria e Iraq gravemente degradata, è diventato più decentralizzato, rivolgendosi più lontano ai suoi affiliati per diffondere il suo messaggio e il caos” afferma il quotidiano. “A mano a mano che il suo nucleo si indebolisce, le sue periferie diventeranno più pericolose”, scrive su Twitter Charlie Winter, ricercatore presso l’International Center for Radicalization del King’s College di Londra.
Lo Stato islamico ha sempre visto il califfato come un progetto globale, e nonostante la perdita di territorio in Iraq e in Siria ha continuato a espandersi all’estero. L’altro network del terrore globale, al Qaida, dopo essere stato cacciato dall’Afghanistan si rivolse a franchigie straniere in luoghi come lo Yemen, l’Iraq e l’Africa settentrionale per rigenerarsi. Ma a differenza dell’organizzazione di Osama Bin Laden, lo Stato islamico ha già numerosi affiliati in tutto il mondo, una pur sempre efficiente macchina propagandistica in rete, e un numero imprecisato di foreign fighter che sono riusciti a fuggire dall’Iraq e dalla Siria.
Già nel 2015, Isis ha iniziato a istruire le reclute per la migrazione verso territori controllati dalle sue filiali estere. “Piuttosto che reclutare da zero, il Califfato “ruba” membri a gruppi estremisti esistenti, o spesso ingloba gli stessi gruppi”, ha scritto Rita Katz, co-fondatrice di SITE Intelligence Group, che monitora la propaganda jihadista.
Infine il New York Time segnala la minaccia dell’Isis in tre Paesi lontani tra loro e dal Medio Oriente: nelle Filippine, – ricorda – l’Isis ha reclutato ribelli del gruppo di Abu Sayyaf per creare quella che considera la sua provincia dell’Asia orientale. Gruppo, che lo scorso gennaio, ha compiuto un attacco a una cattedrale uccidendo 23 persone; In Afghanistan, dove la filiale Isis locale ha praticamente “assorbito intere unità di combattenti talebani”.
Più recentemente, l’Isis, ha radunato una nuova “provincia” nella Repubblica Democratica del Congo reclutando membri di un gruppo ribelle che avrebbe “ricevuto soldi in contanti da un finanziatore dell’Isis”.
Per il Nyt, “questi gruppi hanno avuto scarso impatto dalla perdita di territorio in Iraq e in Siria e non hanno bisogno di comunicazioni dirette dallo Stato islamico” per organizzare i loro attacchi.