Roma, 6 lug. (askanews) – Si chiama Hip65426b ed è il primo pianeta extrasolare scoperto da un team internazionale di ricercatori, tra cui alcuni dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), grazie allo strumento Sphere (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet Research) installato al Very Large Telescope dell’Eso sulle Ande cilene, che è riuscito a raccoglierne una serie di immagini.
Il pianeta denominato Hip65426b, che è all’interno del gruppo di stelle denominato Associazione Scorpius-Centaurus, si trova a 385 anni luce da noi e orbita attorno alla stella Hip65426 a una distanza di 14 miliardi di chilometri, ovvero circa tre volte la distanza di Nettuno dal Sole. La sua massa va dalle 6 alle 12 quella di Giove e la sua temperatura oscilla tra i 1.000 e i 1.400 gradi Celsius. L’analisi della sua debolissima luce, riflessa dalla stella madre, indica la presenza di acqua e di nubi nella sua atmosfera.
A differenza di altri pianeti osservati sempre direttamente e con età simili, la stella attorno alla quale ruota il pianeta, massiccia due volte il Sole, non sembra circondata da un disco significativo di detriti. Se si aggiunge il fatto che la stella ruota attorno al proprio asse molto velocemente, il sistema Hip65426 mostra caratteristiche inedite. Gli astronomi stanno cercando di capire se il pianeta si sia formato da un disco di polveri e detriti che è poi scomparso perché spazzato via da altri pianeti del sistema, o se si sia invece formato come un sistema binario estremo da una nube molecolare, così come accade normalmente. Pianeti analoghi ai giganti del nostro Sistema solare, come Hip65246b, non possono essere rilevati con metodi indiretti, molto fruttuosi in altri casi, proprio a causa della grande distanza che li separa dalla stella madre. Ma, per fortuna, questi possono essere studiati con la tecnica del direct imaging ad alto contrasto, proprio quella che utilizza Sphere. Lo strumento è stato progettato per sopprimere in modo ottimale la luce abbagliante della stella senza rimuovere però il debole segnale proveniente da eventuali pianeti presenti attorno a essa; tutto questo con tecniche mirate a ottenere un elevato contrasto e alta risoluzione angolare delle immagini. Per compensare gli effetti dell’atmosfera terrestre, inoltre, lo strumento è equipaggiato con un sistema di ottiche adattive che permette l’acquisizione d’immagini ad altissima qualità. Sphere è così in grado di immortalare deboli pianeti orbitanti vicini alla stella madre e perfino di caratterizzarne le proprietà fisiche e spettrali.
“E, infatti, è stato proprio lo strumento Ifs (Integrated Field Spectrograph), sviluppato da Inaf, in particolare dall’Osservatorio Astronomico di Padova, che ci ha restituito uno spettro completo dell’oggetto, grazie al quale abbiamo ottenuto informazioni molto più complete sui parametri fisici dell’oggetto celeste, permettendoci di capire che stavamo effettivamente osservando un pianeta” dice Silvano Desidera dell’Inaf di Padova, coautore dell’articolo che descrive la scoperta, accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics. “Nonostante le diverse migliaia di esopianeti scoperti negli ultimi vent’anni, non abbiamo ancora ben compreso come si formino, evolvano e interagiscano con l’ambiente circostante i cosiddetti pianeti gioviani, cioè quelli giganti. Conoscere tali meccanismi è importante perché i gioviani, rappresentando la maggior parte della massa nei sistemi planetari ai quali appartengono, ne condizionano l’architettura giocando un ruolo fondamentale anche nella dinamica dei loro più piccoli ‘fratelli’ rocciosi quali terre e super-terre”, aggiunge l’astronomo.