Roma, 26 ago. (askanews) – Grafene, ma non solo. Due nuovi materiali bidimensionali promettono di rivoluzionare il futuro delle tecnologie. In uno studio appena pubblicato sulla rivista “Nature Communications” i ricercatori dell’Università di Pisa e del Politecnico di Losanna hanno mostrato che l’arsenéne e l’antimonéne, materiali bidimensionali composti da arsenico e antimonio, possono consentire di realizzare transistor ad alte prestazioni con lunghezza di canale di soli 5 nm, non ottenibile con il silicio.
Per capire gli effetti della miniaturizzazione in questo settore, – spiega l’Ateneo pisano – basta pensare che il telefono che abbiamo in tasca è ormai un potente calcolatore grazie al fatto che l’industria dei semiconduttori è riuscita a realizzare negli ultimi 50 anni transistor sempre più piccoli e a raddoppiarne ogni 24 mesi il numero contenuto in un chip. Per sostenere questo ritmo di innovazione, comunemente chiamato Legge di Moore, nei laboratori di ricerca in tutto il mondo si sta esplorando l’uso dei nuovi materiali bidimensionali, che hanno lo spessore di un solo atomo e quindi promettono una riduzione ulteriore delle dimensioni complessive dei transistor.
“Negli ultimi dodici anni, cominciando con il grafene, sono state scoperte decine di materiali bidimensionali con proprietà interessanti per l’elettronica, ma anche con svantaggi significativi rispetto al silicio – spiega Gianluca Fiori del dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Ateneo pisano – è quindi necessario selezionare quelli più promettenti su cui concentrare la ricerca. Il fatto è che la tecnologia di fabbricazione di questi materiali è ancora ai primi passi, per cui l’unico modo di valutare le potenzialità dei transistor basati sui nuovi materiali è di fare simulazioni al calcolatore, atomo per atomo, per poi orientare la ricerca sperimentale e industriale”.
Lo studio pubblicato su “Nature Communications” si basa su sofisticati codici di simulazione di materiali e di dispositivi elettronici sviluppati presso il Politecnico di Losanna e presso l’Università di Pisa, distribuiti con licenza open source e utilizzati da decine di gruppi di ricerca in tutto il mondo.
“Si tratta di una linea di ricerca che richiede la convergenza della chimica, della fisica e dell’ingegneria e la definizione di un linguaggio e di un corpo di conoscenze comuni – afferma il Giuseppe Iannaccone dell’Università di Pisa – dunque una ricerca fondamentale che vuole risolvere un problema applicativo concreto, superando la distinzione formale tra ricerca di base e applicata.”