Roma, (askanews) – Gli animali sanno contare e sono capaci di fare operazioni aritmetiche. Tutti i vertebrati hanno un senso del numero rudimentale e studi recenti indicano che lo hanno anche gli insetti, come le api. A guidarci alla scoperta di questa abilità presente negli animali, delle ricerche in corso e delle implicazioni mediche che gli studi in questo ambito possono avere è il prof. Giorgio Vallortigara, ordinario di Neuroscienze al Centro Interdipartimentale Mente Cervello (CIMeC) dell’Università di Trento, dove guida un gruppo di ricerca impegnato anche nell’indagare le origini della cognizione della numerosità. Argomento di cui ha parlato al Piccolo Eliseo di Roma durante l’incontro “Magia, cervello e matematica: come i numeri governano il pensiero” – quarto appuntamento del ciclo di conferenze “La Scienza e noi” organizzato da BrainForum – di cui è stato protagonista insieme alla prof.ssa Antonietta Mira, docente di Statistica, che ha presentato una serie di giochi di magia basati su principi matematici.
E’ vero che gli animali sanno contare? “Sì, siamo abbastanza sicuri che sanno trattare le numerosità, per numerosità intendo collezioni di oggetti, quindi qualche cosa di presimbolico e prelinguistico. Vediamo uno stormo di uccelli in cielo: e ci chiediamo, quanti sono approssimativamente? O dei puntini, degli oggetti sullo schermo di un computer: quanti sono? E questa stima delle numerosità – spiega il prof. Vallortigara – è piuttosto precisa quando i numeri sono piccoli. Ed è una vera forma di aritmetica perché gli animali sono capaci di fare delle operazioni aritmetiche: addizioni, sottrazioni, divisioni, cioè di calcolare il rapporto tra queste numerosità. L’unica limitazione – precisa il neuroscienziato – è che si tratta di un senso del numero che è approssimato, vuol dire che i calcoli e le operazioni che noi e gli altri animali possiamo fare con questo sistema sono molto precise quando i numeri sono molto piccoli e diventano via via più imprecise man mano che i numeri diventano grandi”.
In quali animali avete sperimentato questa capacità? “Per quel che ne sappiamo tutti i vertebrati e quindi anfibi, rettili, mammiferi, uccelli posseggono questo elementare, rudimentale senso del numero che sembra avere le medesime caratteristiche in tutti gli animali. Ci sono dati recenti – aggiunge – che suggeriscono che anche gli insetti, per esempio le api, posseggono un senso del numero simile a quello che è stato osservato negli altri animali. Nel nostro laboratorio lo abbiamo studiato dai pesci ai pulcini”.
Si tratta di una capacità sviluppata per necessità, perché aiuta la sopravvivenza?
“Sì, ed è fondamentale perché in molte circostanze gli animali devono stimare le quantità: quanto cibo c’è? Quanti compagni ci sono? Quanti nemici? Possono farlo, in linea di principio, utilizzando altre proprietà degli stimoli fisici , per esempio la superficie o il volume occupato, ma quello che si è visto è che gli animali preferiscono usare le numerosità in quanto tali, piuttosto che quegli aspetti fisici dello stimolo che variano insieme al numero”.
Come se la cavano gli animali con l’assenza di numerosità, cioè con lo zero? “Usare lo zero come simbolo – precisa il prof. Vallortigara – è diverso dall’essere capaci di riconoscere l’insieme vuoto, dove non c’è niente. Ci sono esperimenti che suggeriscono che questa intuizione primitiva dello zero come insieme vuoto è presente in molti animali, addirittura nelle api. Gli esperimenti consistono nell’insegnare agli animali a discriminare numerosità grandi e piccole e a scegliere, ad esempio, il gruppo più piccolo. Poi gli si mostra una coppia in cui c’è un’assenza di elementi e gli animali rispondono correttamente e sono tanto più veloci quanto maggiore è la distanza tra le numerosità”.
Quali le prossime sfide sperimentali in questo ambito di ricerca e con quali obiettivi?
“Il senso del numero, che fornisce la base per lo sviluppo della matematica formale che si impara a scuola, sembra avere delle basi genetiche. Non soltanto naturalmente, è influenzato in maniera profonda dall’apprendimento, ma ha anche basi genetiche. Individuare i meccanismi genetici che sottostanno alla comprensione della numerosità è fondamentale anche dal punto di vista clinico perché ci sono persone che soffrono di discalculia, cioè di disturbi specifici nel trattare le numerosità, che hanno difficoltà con tutte le quantità. I bambini discalculici non solo hanno difficoltà con i numeri ma anche a stimare, ad esempio, le durate temporali di un evento o la lunghezza di un percorso. Quello che noi in questi anni stiamo facendo in laboratorio con colleghi inglesi e statunitensi – conclude Vallortigara – è studiare un pesciolino, lo zebrafish (che è un modello per la biologia dello sviluppo) per studiarne le capacità numeriche rudimentali e individuare eventualmente i geni che consentono lo sviluppo di questa capacità”.