Roma, 2 dic. (askanews) – Solar Orbiter, la missione europea che studierà il Sole a una distanza ravvicinata mai raggiunta prima, è pronta per il lancio programmato nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 2020 e l’Agenzia spaziale italiana, in collaborazione con Esa, ha riunito oggi nella propria sede di Roma la comunità scientifica per un “InfoDay” nel quale fare il punto sulla missione che vede un importante contributo del nostro Paese.
Prima missione di classe M selezionata nell’ambito del programma scientifico dell’ESA Cosmic Vision 2015-2025, Solar Orbiter consentirà, per la prima volta, di studiare il Sole da una distanza di 0,28 Unità Astronomiche, pari a circa 43 milioni di chilometri, il 30% della distanza Terra-Sole e di osservarne le regioni polari da un’orbita al di fuori del piano dell’eclittica. Il lancio avverrà dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral in Florida a bordo di un razzo Atlas V. La sonda monterà a bordo 10 strumenti per osservare la superficie del Sole e studiare i cambiamenti che avvengono nel vento solare che viene emesso ad alta velocità dalla nostra stella. Otto degli strumenti saranno forniti da PI attraverso finanziamenti nazionali dagli Stati membri dell’ESA. Un nono strumento sarà messo a disposizione dall’ESA, mentre lo strumento rimanente e un sensore aggiuntivo saranno forniti dalla NASA.
A illustrare tempi e obiettivi della missione Yannis Zouganelis (Esa deputy Project Scientist). Dopo circa 3 mesi dal lancio inizierà la fase di crociera che durerà un anno e 8 mesi in cui verranno attivate una serie di procedure di controllo della strumentazione, poi a novembre del 2021 partirà la fase nominale che durerà 5 anni, mentre nel dicembre 2026 si passerà all’extended mission dove l’orbita sarà inclinata consentendo così la vista dei poli. Per raggiungere l’orbita operativa intorno al Sole, ci vorranno poco meno di tre anni e mezzo, modificando la traiettoria mediante flyby della Terra e di Venere. Durante la missione, gli strumenti in-situ misureranno il plasma del vento solare, i campi elettromagnetici e particelle energetiche in una zona abbastanza vicino al Sole dove sono ancora relativamente incontaminati e le loro proprietà non sono state modificate dai successivi processi di trasporto e propagazione. Gli strumenti di remote sensing invece, invieranno immagini spettacolari delle caratteristiche solari con una risoluzione mai raggiunta prima e forniranno nuove informazioni su ciò che determina la ciclicità delle macchie solari e l’insorgenza dei flare.
L’Italia partecipa in modo importante alla missione, sia dal punto di vista scientifico che industriale: dallo scudo termico per proteggere la navicella dalla forte radiazione solare prodotto da Thales Alenia Space, alla Data Processing Unit, cioè il cervello che controllerà lo strumento SWA (Solar Wind Analyzer), al contribuito al telescopio X-Stix, per finire con il coronografo Metis, tutto made in Italy. Una missione importante su cui l’Asi – ha sottolineato Barbara Negri, Responsabile dell’Unità Osservazione ed Esplorazione dell’Universo dell’Agenzia- ha investito molto e in particolare su Metis, uno dei dieci strumenti a bordo della missione, interamente progettato in Italia da un team scientifico guidato dall’Inaf con il supporto di Asi e costruito da un consorzio industriale formato da OHB Italia e Thales Alenia Space Italia. Metis è un coronografo, “in sostanza – spiega Marco Romoli, astronomo all’Università di Firenze, associato Inaf e Principal Investigator di Metis – è un telescopio in grado di generare un’eclissi artificiale, cioè copre il disco del sole per osservare quella che è l’atmosfera esterna, cioè la corona solare, che altrimenti non si vedrebbe. Da terra noi la vediamo solo durante l’eclissi totale, ecco perché parliamo di eclissi artificiale.
Lo strumento serve per osservare quella regione dell’atmosfera solare dove avviene l’accelerazione del vento solare, dunque una zona molto importante, ed è l’unico coronografo a bordo di Solar Orbiter quindi è quello che fornirà un contesto per quello che poi vedranno gli strumenti in-situ, quelli che misurano le particelle. Il telescopio ha due canali: un canale in luce bianca, cioè nel visibile, con cui si misurano gli elettroni, e un canale in ultravioletto, che misura la riga dell’idrogeno, quindi le due principali componenti del plasma”.
La missione Esa offre diversi vantaggi. “Siamo più vicini al Sole, – prosegue Romoli – quindi aumentiamo la capacità di risolvere certe strutture e poi abbiamo un altro vantaggio e cioè di essere quasi in co-rotazione, per cui il Sole ruota, la sonda anche si muove e così si riescono a vedere le strutture per più tempo. E poi usciremo dall’orbita terrestre e quindi ci inclineremo e potremo osservare la corona e i poli del sole da un altro punto di vista, completamente nuovo”.
Metis, sottolinea Marco Stangalini, Asi Project Scientist dello strumento, “osserverà quella tenue zona dell’atmosfera solare più esterna che chiamiamo corona, che è un insieme di regimi fisici che sono nel mezzo tra le zone dove l’energia viene accumulata nei campi magnetici e l’eliosfera, regimi fisici che hanno un impatto anche sulla vita terrestre. Andrà a osservare una zona critica, una zona di connessione e ci aspettiamo che Metis, insieme agli altri strumenti, ci dia una panoramica fisica e ci permetta di creare dei modelli fisici più accurati di quelli che abbiamo ora. Modelli che ci possono permettere di prevedere l’attività solare”.
“Solar Orbiter – aggiunge Stangalini – ha una suite di strumenti di remote sensing che daranno immagini del sole ad alta cadenza temporale e ad alta risoluzione e strumenti in-situ che faranno misurazioni del vento solare, delle particelle che provengono dal sole e questo ci permetterà di operare una tomografia dell’atmosfera solare necessaria per comprendere i fenomeni che determinano l’attività solare che si svolgono simultaneamente a diverse quote, fenomeni complessi. Solar Orbiter ci permetterà di modellizzare meglio dal punto di vista fisico questi processi e poi di analizzare in situ ciò che arriva dal Sole. Ma l’elemento vero di unicità della missione è che progressivamente il piano dell’orbita si inclinerà e questo ci permetterà di osservare i poli ed è importante perché noi ancora non sappiamo dal punto di vista fisico come si comportano i poli di una stella. Il sole ci dà l’opportunità di avere un’informazione essenziale per l’astrofisica in generale. Quindi ci sono molte aspettative”.