Roma, 15 ott. (askanews) – A Bruxelles la chiamano “ambiguità costruttiva”. E’ l’equidistanza tipica di chi pratica l’arte della diplomazia. E’ “utile” in alcune fasi delle controversie, persino dei conflitti, “quando è ben chiaro chi è l’aggressore e chi si difende”. Ma in questa fase del conflitto in Nagorno Karabakh rischia di “provocare l’effetto contrario”: “incentiva l’aggressione, crea un’atmosfera di impunità”. Ecco perché – dopo le dichiarazioni di ieri a Mosca del ministro Luigi Di Maio, accolte “molto positivamente” perché vanno “nella giusta direzione” – l’Italia deve segnare un cambio di passo. E con essa l’Europa. Il nostro paese deve “unire la sua voce a quella della Francia”, sposare “la posizione che la Germania sta maturando in sede europea”, consentire all’Unione europea di avere quella “postura geopolitica” e “autonomia strategica” che erano l’obiettivo annunciato dalla presidente della Commissione Ursula von Der Leyen nel suo discorso di insediamento. Con l’unico scopo di fermare ciò che l’ex ambasciatore d’Armenia in Italia, Sargis Ghazaryan, definisce “un’aggressione unilaterale non provocata da parte dell’Azerbaigian nei confronti del Nagorno Karabakh”. “L’Armenia è Europa. L’Armenia è membro del Consiglio d’Europa. L’Armenia è un partner dell’Unione europea”, ricorda in un’intervista ad askanews.
Secondo l’ex ambasciatore, è questo il momento giusto per tentare di porre fine al conflitto, “ci sono tutte le condizioni”. “C’è una guerra; è in corso una crisi umanitaria; c’è un Paese della Nato, candidato all’adesione all’Ue, che sta destabilizzando l’area”. E allora, è il pensiero dell’ex diplomatico armeno, “è auspicabile che ci siano attive consultazioni tra Roma e Parigi e tra Roma e Berlino”. “L’Europa deve agire. Perché l’Europa agisca, il Consiglio deve deliberare. E perché il Consiglio deliberi, c’è bisogno che almeno i tre paesi più importanti dell’Unione europea – Francia, Germania e Italia – trovino una posizione comune. La Francia ha fatto già il suo passo, la Germania sta facendo dichiarazioni in quella direzione. Per l’Italia credo che questo sia il momento di muoversi”, sottolinea Ghazaryan.
E per mettere fine alla guerra, secondo l’ex ambasciatore a Roma, nell’attuale scenario è necessario intervenire sulla Turchia, più che sull’Azerbaigian. Già il primo ottobre – ricorda – il suo presidente Recep Tayyip Erdogan aveva dichiarato “inaccettabili” le richieste internazionali di cessare le attività belliche, “prendendo una posizione netta”. Ma l’uomo forte di Ankara si è spinto oltre, e con lui il capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu, durante la sua visita in Italia di pochi giorni fa. “Il presidente ha detto che la Turchia andrà fino in fondo, fino alla fine, in aiuto dei fratelli azeri. E quel fino alla fine, per noi armeni, ha del macabro. E’ un messaggio genocidario, una minaccia esistenziale”, precisa l’ex ambasciatore in Italia.
La Turchia, dunque, “è parte attiva e coinvolta di questa guerra”. “La guerra in corso non è altro che uno dei tasselli, l’ultimo in termini cronologici, di un riassertivo posizionamento della Turchia negli spazi dell’Impero Ottomano”, è il ragionamento dell’ex diplomatico armeno. Ne sono testimonianza “il ruolo destabilizzante in Siria o in Libia, l’escalation nel Mediterraneo orientale, adesso l’Armenia, forse un domani i Balcani”. Secondo Francia, Stati Uniti e Federazione Russa, inoltre, Ankara avrebbe persino spostato reti di jihadisti dalla Siria e dalla Libia verso il fronte azero. “C’è un tentativo da parte turca-azera-jihadista di portare questo conflitto su un piano religioso”, insiste Ghazaryan, ricordando il missile che tre giorni fa ha colpito la cattedrale di Shushi. All’interno delle catacombe gli armeni avevano fatto rifugiare i bambini, convinti che mai la controparte avrebbe bombardato un simbolo religioso. “Nel raggio di 200 metri non vi è nulla. E come accadeva nei Balcani, durante l’assedio di Sarajevo, hanno aspettato mezz’ora e colpito di nuovo, con giornalisti e soccorritori già sul posto. Lo fanno per uccidere”.
La Turchia di conseguenza “non può essere assolutamente una parte credibile della mediazione sul conflitto”, afferma convinto l’ex ambasciatore in Italia. E se Erdogan ha chiesto la creazione di un Foro di dialogo per una soluzione del conflitto, di cui Ankara vorrebbe essere parte con Russia, Azerbaigian e Armenia, per Erevan questa non è una pista praticabile. Sarebbe una soluzione “inaccettabile”, “non c’è posto a quel tavolo per la Turchia”, precisa Ghazaryan. Perché chi “incita” la guerra, non può negoziare la sua fine, è il ragionamento del diplomatico armeno, che ricorda gli effetti del conflitto “voluto dall’Azerbaigian” e sostenuto da Erdogan. “E’ in corso una catastrofe umanitaria”, sostiene. “In Nagorno Karabakh, che conta circa 170mila abitanti, 122 fra villaggi e città sono stati colpiti da artiglieria, droni, aeronautica e bombe a grappolo. Mentre parliamo, il 70% della popolazione del Nagorno Karabakh è sfollata. E’ ovvio che è in corso una catastrofe umanitaria. C’è l’utilizzo, documentato da Amnesty international, di bombe a grappolo contro obiettivi civili, quartieri residenziali. E questo è un crimine di guerra. Ci sono le Convenzioni di Ginevra che lo vietano”.
Poi c’è anche una risposta militare armena. Ghazaryan esprime “cordoglio” per le vittime civili di Ganja, colpita alcuni giorni fa. “Noi siamo sopravvissuti a un genocidio”, commenta. “Ogni volta che sentiamo di civili uccisi, ci ricordiamo cose che non vorremmo ricordare. Ovviamente esprimiamo cordoglio, ma questa guerra non l’abbiamo iniziata noi”, insiste, ricordando che a Ganja c’è un aeroporto militare, da cui decollano droni kamikaze turchi, e dov’è di stanza secondo alcune foto satellitari uno stormo di F-16 turchi che partecipa alle operazioni. “Ci sono anche industrie militari”. Insomma se vittime civili ci sono state – e ci sono state – non erano certamente loro l’obiettivo. “Rifiuterei questa idea. E guarderei a cosa c’era intorno. Già nella guerra dei quattro giorni nel 2016 obiettivi militari mobili – carri armati, artiglieria – sono stati posizionati in prossimità dei giardini delle case per fare dei civili degli scudi umani. E anche questa è una violazione del diritto internazionale”.