Roma, 5 ott. (askanews) – Il conflitto tra Armenia e Azerbaigian sul Nagorno Karabakh s’incattivisce sempre più in un contesto internazionale che vede impegnate – in chiaro e in controluce – potenze regionali di importanza globale, quali la Russia e la Turchia.
Oggi ufficiali armeni hanno dato notizia di attacchi missilistici azeri nei confronti di Stepanakert, la capitale della provincia separatista del Nagorno Karabakh, dopo che da Baku è arrivata l’accusa nei confronti delle forze dell’Armenia di aver lanciato attacchi contro diverse località del territorio azero, compresa la città di Ganja, che è la seconda del paese.
Erevan, dal canto suo, ha smentito che tali attacchi siano partiti dal teritorio armeno, sostenendo che l’accusa è parte di una campagna di disinformazione lanciata da Baku, mentre le forze filo-armene del Karabakh hanno chiarito che reagiranno ai bombardamenti attaccando obiettivi azeri.
Una situazione, insomma, che sul terreno rende sempre più caldo un conflitto “congelato” che oppone da tre decenni azeri e armeni. Un conflitto iniziato prima ancora della caduta stessa dell’Unione sovietica, per diventare guerra totale nel 1992, con circa 30mila morti. In seguito, un cessate-il-fuoco del 1994 pose termine alla guerra guerreggiata, ma non risolse alcuno dei problemi, lasciando il controllo di fatto alle forze filo-armene e un grande problema relativo alle centinaia di migliaia di profughi azeri.
Dall’inizio di questa recrudescenza, circa 200 appartenenti alle forze filo-armene del Nagorno-Karabakh sono morti – secondo quanto ha riferito Stepanakert – e sono deceduti anche 18 civili, con 90 altri feriti. Non è stato invece stato reso noto un bilancio ufficiale proveniente dall’Azerbaigian per quanto riguarda le vittime militari. I civili morti sono stati 24 e 124 sono rimasti feriti.
Il rischio che questo conflitto si internazionalizzi, poi, è più che concreto. Già oggi ci sono sospetti che ai combattimenti stiano partecipando anche elementi esterni. Da parte armena si è ipotizzato che combattenti provenienti dalla Siria siano impegnati nel teatro di conflitto. In questo caso, il dito puntato è nei confronti della Turchia.
Ankara respinge questo tipo di accuse, ma non nasconde certo il suo sostegno per Baku. Gli azeri sono una popolazione turcofona, mentre gli armeni sono da sempre visti come un avversario regionale. L’eredità storica delle uccisioni di massa del 1915 da parte dell’Impero ottomano – di cui la Turchia si considera diretto successore – degli armeni, considerato da questi ultimi come un genocidio.
Giovedì, parlando al parlamento turco, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha accusato direttamente l’Armenia per la ripresa dei combattimenti e ha detto che i “fratelli azerbaigiani attendono il giorno in cui torneranno nella loro terra”.
C’è poi l’Iran, altro importante attore regionale e paese confinante con Azerbaigian – con il quale non intrattiene relazioni particolarmente amichevoli – e Armenia. Teheran ha chiarito che sta lavorando per la pace, ma ha nel contempo avvertito che un’eventuale allargamento delle ostilità al suo territorio porterebbe a una sua reazione.
Tuttavia, il Caucaso meridionale è anche da secoli una regione chiaramente nella sfera d’influenza della Russia. Che sembra voler in questa fase assumere un ruolo di mediazione per spegnere l’incendio. Tradizionalmente Mosca è considerata vicina alle istanze di Erevan, ma attualmente piuttosto interessata a riequilibrare la situazione. Da qui una serie di appelli alla fine delle ostilità.
Oggi il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha annunciato che, con Francia e Stati uniti, Mosca sta lavorando a una nota congiunta. “Oggi ho parlato del Nagorno-Karabakh per telefono con [il ministro degli Esteri francese] Jean-Yves Le Drian. I tre co-presidenti [del gruppo di Minsk dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa] – i presidenti di Russia, Francia e Stati Uniti – hanno fatto una dichiarazione forte. Ora stiamo preparando una dichiarazione dei ministri degli Esteri dei tre Paesi, ma, ovviamente, dobbiamo pensare non solo alle dichiarazioni, ma anche alle misure specifiche che possono essere prese per fermare lo spargimento di sangue”, ha detto Lavrov ai membri dell’Associazione delle imprese europee.
Questo sforzo negoziale, al momento, non pare ancora aver avuto alcun apprezzabile effetto. Il presidente azero Ilham Aliev ha chiarito quali siano le condizioni che pone: “L’Armenia lasci le nostre terre. Ma non a parole, con i fatti. Che dica che riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian”.