Roma, 17 mar. (askanews) – L’epidemia di coronavirus non è più una minaccia, ma una realtà per il continente africano dopo che negli ultimi giorni i numeri del contagio sono aumentati rapidamente, spingendo i governi nazionali ad adottare misure sempre più restrittive per cercare di fermarne la diffusione in Paesi con sistemi sanitari fragili e una popolazione già duramente colpita da Hiv, tubercolosi, Ebola e altre malattie infettive. “Temo sia una bomba ad orologeria”, ha detto alla rivista Science Bruce Bassett, data scientist dell’Università di Città del Capo, impegnato ad analizzare i dati sul Covid-19 dallo scorso gennaio.
Ad oggi sono almeno 30, su 54, i Paesi che hanno registrato casi di contagio, circa 400, perlopiù importati dall’Europa: i più colpiti sono Egitto, Sudafrica, Algeria, Marocco e Senegal.
“Non abbiamo davvero idea di come il Covid-19 si comporterà in Africa”, ha ammonito Glenda Gray, pediatra e ricercatrice sull’Hiv, presidente del South African Medical Research Council. L’Africa sub-sahariana potrebbe giovarsi del fatto di avere l’età media più bassa al mondo, sotto i 20 anni, a fronte del fatto che i bambini si ammalano raramente di Covid-19 e i giovani presentano perlopiù sintomi lievi. Più alto è infatti il rischio per le persone anziane e nell’Africa sub-sahariana solo il 3% della popolazione ha più di 65 anni. La stessa pediatra Gray ritiene inoltre plausibile che le alte temperature di molti paesi africani possano rendere più difficile la diffusione del virus, sottolineando però che in Sudafrica la stagione influenzale inizia ad aprile, quando fa più freddo, lasciando così aperta la questione se il Covid-19 possa rivelarsi una malattia stagionale.
Ci sono poi altri fattori che potrebbero invece peggiorare la pandemia in Africa, primo tra tutti la fragilità di sistemi sanitari locali, che non hanno la capacità di assistere malati gravi di Covid-19, ossia reparti di terapia intensiva e personale specializzato. Ma il continente vanta anche città e slum sovraffollati, dove risulterebbe difficile imporre il distanziamento sociale, e la convivenza di diverse generazioni sotto lo stesso tetto, per cui potrebbe non rivelarsi efficace la decisione di imporre la reclusione in casa, dove i più anziani sarebbero comunque esposti al pericolo di infezione. E ancora, ha sottolineato a Science Francine Ntoumi, parassitologa dell’Università Marien Ngouabi della Repubblica del Congo, come si può chiedere alle popolazioni dei villaggi di lavarsi le mani, quando non c’è acqua, o di usare i disinfettanti per le mani quando non ci sono abbastanza soldi neanche per comprare il cibo? “Temo sarà il caos”, ha commentato.
A fronte di tali interrogativi, i governi africani hanno cominciato ad adottare misure di contenimento, anche se i numeri di contagio confermati siano spesso ancora a una cifra, cancellando voli, chiudendo scuole, siti di culto e luoghi pubblici.
L’Egitto, che conta 160 casi di contagio e quattro decessi, ha annunciato la sospensione di tutti i voli internazionali fino al 31 marzo, ha chiuso scuole e università, e ha vietato eventi di massa pubblici. In Sudafrica, che ha registrato 62 casi, il presidente Cyril Ramaphosa ha dichiarato la “calamità nazionale”, sospendendo i voli con i Paesi più colpiti dalla pandemia di coronavirus, quali Cina, Iran, Italia, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti, chiudendo scuole e università, vietando funzioni ed eventi pubblici. Anche l’Algeria, con 60 casi di infezione e cinque decessi, ha annunciato la sospensione dei voli con Italia, Francia, Spagna, Tunisia, Egitto, Emirati arabi uniti, Qatar e Giordania, ha chiuso scuole e luoghi di culto e ha sospeso i lavori parlamentari.
Il Marocco, che conta 37 casi, ha sospeso i voli e ha chiuso moschee, scuole e luoghi pubblici, creando al contempo un fondo speciale da un miliardo di dollari per sostenere le spese sanitarie. Sabato scorso, il presidente del Senegal, Macky Sall, ha annunciato la chiusura delle scuole e la cancellazione di tutti gli eventi pubblici per un mese, annullando anche le celebrazioni per i 60 anni dell’indipendenza del Paese dalla Francia, il prossimo 4 aprile. Nel Paese si contano oggi 26 contagi, due in più della Tunisia che ha annunciato oggi la chiusura delle frontiere e la sospensione dei voli, dopo aver già imposto la chiusura anticipata di bar e ristoranti e il divieto di frequentare mercati, bagni pubblici ed eventi pubblici.
L’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha raccomandato di eseguire test a ogni caso sospetto di contagio per contenere la diffusione del coronavirus, ma non tutti i paesi africani hanno la possibilità di farlo, soprattutto i più fragili. Come la Libia, che ha chiuso frontiere e porti, scuole e università, e vietato eventi pubblici, sebbene non abbia finora confermato alcun caso di Covid-19, e da dove continuano a partire i migranti alla volta dell’Europa, come testimoniato dalle circa 400 persone intercettate in mare e riportate a Tripoli negli ultimi giorni. “Questa malattia andrà presto via, quindi non ho paura di andare in Europa”, ha detto un migrante ivoriano, citato da InfoMigrants, prima che l’Ue decidesse di chiudere le frontiere esterne per un mese. Altri Stati particolarmente vulnerabili sono la Somalia, che ha vietato tutti i voli internazionali dopo il primo caso di contagio, e il Sudan che oggi ha dichiarato lo stato di emergenza, chiudendo tutti gli aeroporti e le frontiere terrestri e marittime, dopo aver registrato sabato scorso il primo caso, con il decesso di un uomo rientrato dagli Emirati Arabi Uniti.
L’Unione africana (Ua) ha creato un organismo incaricato di gestire l’emergenza, Africa Centres for Disease Prevention and Control, che sta collaborando con l’Oms per la distribuzione di attrezzature e forniture, così come con la formazione del personale sanitario. Intanto ieri sono anche arrivati i primi aiuti internazionali, dalla Cina: il miliardario Jack Ma, fondatore di Alibaba, ha infatti annunciato la donazione “a ciascuno dei 54 paesi africani di 20.000 kit per eseguire i test, di 100.000 mascherine e 1.000 tute protettive”.