Roma, 27 dic. (askanews) – I giapponesi fanno sempre meno figli, mentre la vita si allunga. Così il grande spettro che Tokyo ha di fronte ha un nome preciso: “korei-shakai”, la società invecchiata. Secondo gli ultimi dati diffusi dal ministero della Sanità, nel 2018 le nascite sono state solo 921mila rispetto a 1,37 milioni di morti. Una situazione che rischia di danneggiare il paese, il quale si trova di fronte a una scelta importante: aprirsi all’immigrazione o accettare il declino.
Per il Giappone quello delle nascite è il dato più striminzito da quando, nel 1899, si è iniziato a raccogliere questi dati statistici. E si tratta del terzo anno consecutivo con i nuovi nati al di sotto del milione. Questo vuol dire che il tasso di nascite per donna è sceso a 1,43, molto lontano da quell’1,8 che il governo punta a raggiungere entro il 2026.
Il Paese si trova quindi a dover fare delle scelte. Il governo conservatore del primo ministro Shinzo Abe ha promesso una serie di provvedimenti per aiutare le famiglie a far figli. Ma questi provvedimenti tardano ad arrivare, mentre fattori positivi, come l’affidabilità del sistema sanitario, contribuiscono ad allungare la vita agli anziani. In questa condizione la “korei-shakai” pare essere un destino ineluttabile. Attualmente qualcosa come il 20 per cento dei meno di 127 milioni di giapponesi ha più di 70 anni. I centenari sono circa 70mila, l’88 per cento dei quali sono di genere femminile. Nella classifica dei paesi con più over 65, il Giappone precede l’Italia, il Portogallo e la Germania.
In questo contesto, si situa anche la decisione del governo nipponico di allargare le maglie dell’immigrazione, in modo da garantire al mercato del lavoro, sempre più scarso sul lato dell’offerta, un ristoro. C’è da mantenere i livelli di produttività, c’è da garantire la sostenibilità del sistema di welfare.
Il 27 novembre scorso la Camera bassa giapponese ha approvato le nuove regole per l’immigrazione, dopo un dibattito infuocato che ha visto un bizzarro rovesciamento dei ruoli con l’opposizione liberal contraria a rendere più lasche le regole e la maggioranza conservatrice a favore.
Accanto a questa nuova regolazione, in tutto sono state adottate 126 misure dai ministeri per attirare e cercare di integrare gli stranieri, con una spesa di circa 55 milioni di dollari per il 2018 e un budget previsto per il 2019 di tre volte tanto.
L’altra leva che Tokyo cerca di muovere per affrontare la “koreika-shakai” è quella dell’automatizzazione e della robotizzazione. “Il Giappone non è estraneo ad affrontare il tema delle risorse limitate – compresa la risorsa lavoro – ed è storicamente stato un leader nello sviluppo tecnologico.
L’automazione e la robotica, che possono o rimpiazzare o fare da complemento al lavoro umano, sono concetti familiari nella società giapponese”, si legge in un recente studio del Fondo monetario internazionale. Basta un dato: su 700mila robot industriali utilizzati nel mondo nel 1995, 500mila erano in Giappone. E ancora oggi – scrive il Fmi – “è leader nella produzione e nell’uso industriale dei robot”, avendo esportato nel 2016 più robot dei suoi cinque concorrenti principali messi assieme (Germania, Francia, Italia, Stati uniti, Corea del Sud). “Il Giappone – continua – è anche una delle economie più integrate coi robot al mondo in termini di ‘densità di robot’ che misura il numero di robot in rapporto agli umani nella manifattura e industria”.