Roma, 29 dic. (askanews) – Il primo ministro giapponese Shinzo Abe potrebbe disertare la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Pyeongchang il 9 febbraio, dopo le dichiarazioni del presidente sudcoreano Moon Jae-in che hanno riaperto la dolorosa questione delle “donne di conforto”, le donne usate come schiave sessuali nei bordelli militari di guerra dell’Armata imperiale nipponica fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale. L’ha riferito una fonte governativa all’agenzia di stampa Kyodo.
Ieri Moon, recependo l’esito di uno studio effettuato da una task force costituita all’uopo, ha affermato che l’accordo del 2015 tra Giappone e Corea del Sud per chiudere la vicenda è stato “un errore”, che “non può risolvere la questione delle ‘donne di conforto'”.
L’accordo del 2015 – firmato da Tokyo con l’ex presidente sudcoreana Park Geun-hye, poi caduta in disgrazia per uno scandalo – intendeva chiudere una volta per tutte una ferita aperta tra i due paesi con le scuse giapponesi e il pagamento di un miliardo di yen (8,8 milioni di dollari), collocato in un fondo, alle sopravvissute come indennizzo. Le scuse, tuttavia, non sono state ritenute dalle vittime abbastanza esplicite.
Le dichiarazioni di Moon hanno fortemente irritato Tokyo. Il ministero degli Esteri ha comunicato ufficialmente all’Ambasciata sudcoreana in Giappone che “non ci sono altre opzioni” che quella di rispettare l’accordo. E il ministro degli Esteri Taro Kono ha affermato di non vedere “problemi” nel processo che ha portato all’accordo, paventando l'”ingestibilità” delle relazioni nippo-sudcoreane se gli accordi sono verranno rispettati. “Pacta sunt servanda”, insomma.
D’altronde Seoul non ha neanche chiarito se le dichiarazioni di Moon implichino una volontà di ridiscutere o addirittura denunciare l’accordo, in un momento in cui sia Seoul che Tokyo sono in prima linea nell’affrontare la complessa situazione creata dai programmi nucleare e missilistico della Corea del Nord.
La questione delle “donne di conforto” resta comunque una ferita aperta tra i due paesi. Gli storici sostengono che qualcosa come 200mila donne – coreane, cinesi, ma anche di altri paesi – vissero in condizioni terribili all’interno dei bordelli militari, come schiave. Il governo giapponese, però, afferma che queste strutture erano gestite da civili, quindi rifiuta una diretta responsabilità.