Maalula (Siria), 11 mar. (askanews) – A 50 chilometri a Nord-Est di Damasco, Maalula è di una bellezza sorprendente. Le rocce gialle, spugnose, al tramonto diventano rosa come i suoi campanili. E sorprende che una tale bellezza abbia potuto ospitare l’orrore della persecuzione dei cristiani, non una ma più volte nella sua storia. Nei primi secoli e in questi anni di crisi siriana. C’è in particolare una icona che, meglio di altre cronache, racconta il dramma che hanno vissuto questi luoghi, nel 2013 terreno di scorrerie per la jihad. Nella chiesa greco-ortodossa di Mar Takla, il monastero costruito sulla tomba di Santa Tecla, una pietà dipinta a colori piatti vede la madre di Dio reggere il Cristo sulle sue braccia. E quasi a completare il quadro del dolore appaiono, come lacrime sul volto dei due, i segni degli spari di Jabhat al Nusra. I jiahdisti avevano letteralmente preso di mira l’icona, come altri affreschi del tempio. In un tiro al bersaglio a spregio di tutto quello che la cultura cristiana rappresenta. Ma anche offensivo per lo stesso Corano, dove Maria, è l’unica donna a cui viene dato l’appellativo di Siddiqah “colei che è sempre veritiera”, e Gesù resta il penultimo profeta.
Da queste parti si dice che un giorno Dio aprì la montagna per far fuggire Tecla, inseguita dai miscredenti. Da allora il sentiero che passa in mezzo a un sorprendente canyon e che porta fino al monastero, è indicato come “la strada del Signore”. Alzando lo sguardo si vedono ancora oggi i segni dei combattimenti tra le truppe del regime di Bashar al Assad e il gruppo di miliziani islamisti che da qua rapirono 13 suore, a settembre 2013. La liberazione avvenne tre mesi dopo, grazie anche alla mediazione degli apparati d’intelligence libanesi e del Qatar, riconosciuto come uno dei principali sponsor dell’opposizione anti-Assad. La contropartita fu il rilascio di 153 donne incarcerate nelle prigioni siriane.
Questo piccolo borgo sulle montagne resta l’ultimo posto al mondo dove si parla l’aramaico, la lingua di Gesù. La stessa lingua che quando venne recuperata dal regista australiano Mel Gibson ne “La Passione di Cristo” fu un evento. Maalula invece, anche per la sua morfologia, è destinata ad essere periferica, eppure cuore pulsante della religione. Qua si mischia l’ortodossia, con il cattolicesimo. Poco distante da Mar Takla, c’è Mar Sarkis, monastero cattolico dei Santi Sergio e Bacco, risalente al V secolo. Al suo fianco c’è scritto in caratteri latini “Cafeteria”, e l’edificio semidistrutto rinfrancava dal caldo il turismo religioso.
Anche qui razzie e violenze dei jihadisti hanno dimostrato quanto i cristiani in Medio Oriente siano soprattutto vittime. Un tema che ha portato a convergere la visione del Vaticano con quella del Cremlino e sul fronte confessionale è stato uno dei fattori che ha permesso l’incontro storico tra Papa Bergoglio e il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill. “Siamo testimoni di una violenza devastante contro i cristiani in Medio Oriente e in alcuni altri paesi” ha ripetuto ancora una volta Papa Francesco il 29 febbraio. “Chi regge le sorti del mondo deve promuovere la coesistenza pacifica basata sulla riconciliazione e il perdono”, ha aggiunto. Sulla stessa lunghezza d’onda, prima dei raid in Siria, ad aprile 2015 Vladimir Putin anticipava rispondendo ad Askanews: “la situazione dei cristiani in Medio Oriente è terribile” e “la Comunità internazionale non fa abbastanza per difendere la popolazione cristiana”.
Maalula è simbolica anche nella sua molteplicità religiosa. Le persone del luogo, dove ci hanno accompagnato e scortato i militari russi, ci raccontano che prima della crisi la popolazione era di 5.000 persone di cui solo il 30% erano musulmani. Oggi si arriva a malapena a un migliaio. Qua oltre all’aramaico, che si studia a scuola, si parla greco e arabo. Maalula non è lo specchio ma è una delle tante realtà, della sfaccettata realtà siriana che ha sofferto la guerra, che oggi è soprattutto crisi umanitaria. Innumerevoli riflessi di violenza come anche Aleppo o Hama o Homs. Come lo è stato il rapimento del gesuita Paolo Dall’Oglio o dei Vescovi Ortodossi.
Un altro esempio Askanews lo ha avuto sulle montagne siriane, al Nord, a pochi passi dal confine turco. A Khan al Jouze, un piccolo insediamento sulle rocce, un abitante ci ha mostrato una chiesa cristiana (cattolica) che era stata usata dai terroristi di al Nusra come rifugio. Per terra volantini in arabo ma anche libri e giornali in lingua turca. I fedeli si sono poi riuniti, davanti a noi, per una preghiera improvvisata e segnata dalla commozione per il ritorno a casa.
La tregua infatti, concordata tra Russia e Usa e in atto dal 27 febbraio, ha permesso a questa gente di ritornare alle proprie case, almeno in minima parte, benchè la situazione resti ancora oggi complessa. Intanto le diplomazie stanno lavorando in vista dei colloqui intrasiriani che dovrebbero riprendere all’inizio della prossima settimana, il 14 marzo a Ginevra. E mentre il processo negoziale si fa duro e complicato, e tutti gli occhi sembrano puntati sul futuro di Assad, in pochi sono a chiedersi quale sarà il destino della comunità cristiana in Siria. Anche alla luce del suo declino iniziato già prima della guerra, ma trasformatosi con la crisi in una vera e propria emorragia.
Gli ultimi dati, prima della rivolta, parlavano di un 10% cristiano della popolazione complessiva di siriani (23 milioni di cittadini). Oggi, una quota consistente di cristiani siriani ha origini greche (Chiesa greco-ortodossa di Antiochia), assire o armene, con un grande afflusso recente di rifugiati cristiani iracheni in queste comunità. A causa della guerra civile siriana, un gran numero di cristiani ha lasciato il paese per il Libano, la Giordania e l’Europa, anche se una importante quota della popolazione risiede ancora in Siria: alcuni in condizione di sfollati.