Roma, 30 ago. (askanews) – Negli ultimi decenni sono stati pubblicati numerosi studi che dimostrano la strettissima correlazione tra salute e ambiente ed e’ quindi di fondamentale importanza concepire l’ambiente come un fattore determinante per la salute di tutti.
L’inquinamento e’ ormai un fenomeno ubiquitario e capillare e l’esposizione ad agenti biologici (quali gli alimenti transgenici e i virus), fisici (come le radiazioni ionizzanti e non-ionizzanti), e chimici (metalli pesanti, pesticidi, diossina, ecc.) che persistono nell’ambiente, si bio-accumulano negli esseri umani e causano alterazioni dell’espressione genica, riguarda l’intera popolazione umana, le generazioni future e l’intera eco-biosfera.
L’OMS ha recentemente stimato che 1/4 delle malattie e delle morti dovrebbe essere oggi attribuito a fattori ambientali modificabili, e quindi prevenibili. Esiste la diffusa, ma vaga, consapevolezza che tra i determinanti di salute vi siano cause ambientali come l’accumulo di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua, nei suoli, nei cibi, cosi’ come c’e’ la consapevolezza di nuove insidie, come la diffusione invasiva e pervasiva dei campi elettromagnetici; ma non e’ sufficiente.
Le ricadute sulla salute sono sempre piu’ evidenti e sono testimoniate dalla transizione epidemiologica che fa registrare un aumento delle malattie cronico-degenerative e produce l’aumento dei costi biologici e sanitari, mettendo a rischio la sostenibilita’ del sistema sanitario stesso. In questo contesto i medici possono esercitare un ruolo attivo e centrale, poiche´ hanno le capacita’, il dovere e la responsabilita’ di agire nell’interesse pubblico, trasferendo sia alle comunita’ che alle istituzioni le informazioni sui rischi legati alle modificazioni ambientali e sui vantaggi che si avrebbero evitando tali rischi.
I medici devono affermare la tutela del diritto, individuale e collettivo, alla salute e ad un ambiente salubre, e in questo ambito i medici di ISDE, Associazione Medici per l’Ambiente, credono che, per la sopravvivenza di un sistema sanitario pubblico, sia necessario e indispensabile un continuo confronto tra scienza medica e societa’.
Se ne parla in “Inquinamento ambientale e salute”, volume edito da Aboca, approfondendo ogni aspetto di temi centrali nella società odierna. Askanews ha intervistato, proprio sul messaggio che questo lavoro offre alla riflessione comune, una delle curatrici, la pediatra Vitalia Murgia.
Il binomio salute ambiente interagisce in termini ormai globali: quale può essere la strategia vincente dal punto di vista politico in uno scenario che invece finora ha fatto ricadere in gran parte il peso di scelte consapevoli e di prevenzione sempre e solo sui cittadini?
‘La cosiddetta “epidemiologia colpevolizzante” (non fumare , mettiti a dieta , fai attività fisica ) e l’ipertrofia del valore attribuito agli stili di vita sono stati per decenni una scelta di comodo che ha trasposto la responsabilità del rischio da chi gestisce la Comunità ai singoli individui. Questo ha significato mettere in secondo piano la diffusione di informazioni adeguate sul ruolo dei tossici ambientali e consentire che la produzione e l’impiego di molti di essi potesse continuare indisturbata, nascondendo, ignorando o sottostimando l’impatto negativo sulla salute. Ovviamente si deve continuare a fare adeguata informazione sulla necessità di seguire corretti stili di vita ma questo non basta. I medici possono informare sulle conseguenze dell’esposizione a tossici ambientali, possono riconoscere il rischio e misurarlo ma le uniche vere possibilità di prevenzione primaria (rimuovere o controllare ciò che è noto per procurare danni) e di tutelare la salute pubblica appartengono alla politica. Il binomio ambiente-salute non è in cima alla lista di priorità delle scelte politiche e le conseguenze di questo le stiamo pagando non solo in termini sanitari ma anche economici. Siamo, è vero, tra i Paesi più longevi ma abbiamo anche una bassa aspettativa di vita in buona salute, a causa di malattie croniche e disabilitanti che iniziano sempre più precocemente, addirittura in età pediatrica. Questo significa che la politica ha forse soddisfatto l’esigenza di garantire un adeguato livello di sanità pubblica ma non un adeguato livello di salute pubblica’.
Cambiamenti climatici e migrazioni sono temi di stretta attualità e centrali guardando al futuro: quali devono essere i corretti meccanismi di cooperazione internazionale?
‘Il riscaldamento globale funge da grande amplificatore di criticità pre-esistenti e le migrazioni sono una delle conseguenze dell’aumentata vulnerabilità di alcune comunità e del loro tentativo di migliorare le proprie possibilità di resilienza. In cima alla lista delle criticità pre-esistenti, oltre alla compromissione ambientale, ci sono certamente disuguaglianze e iniquità. I Paesi con le maggiori responsabilità nelle emissioni clima-alteranti (e spesso anche nell’aver creato disuguaglianze e iniquità) sono i meno vulnerabili, ma sono anche quelli che, grazie al possesso di conoscenze, mezzi e capacità adatte a svolgere questo compito, potrebbero favorire i processi di resilienza a livello globale e generare benefici reciproci. Questi Paesi dovrebbero capire, anche interpretando in maniera adeguata ciò che già ora sta accadendo, che la loro “minore vulnerabilità” non durerà a lungo e che affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici non può prescindere dalla risoluzione di disuguaglianze e iniquità a livello globale perché, anche in considerazione dello stretto intervallo temporale utile ad arrestare i trend negativi in corso prima di conseguenze irreversibili, il loro mantenimento finirebbe con il peggiorare i livelli di vulnerabilità e resilienza di chiunque. La cooperazione internazionale è dunque una strada obbligata, insieme alla riduzione delle emissioni clima-alteranti e deve servire a gestire al meglio i “flussi di resilienza”, ad utilizzare adeguati ed efficaci modelli di sviluppo sostenibile fuori e dentro i confini nazionali ma anche adeguati ed efficaci modelli di assistenza, oltre che e a mettere in atto misure di prevenzione primaria finalizzate a trasformare un rischio reciproco in reciproci benefici’.
Quale può essere in concreto il ruolo dei medici rispetto ad un contesto che, come il volume evidenzia, mette a rischio la sostenibilità del sistema sanitario?
‘Il nostro Sistema Sanitario Nazionale è nato con una legge che si fonda su tre pilastri: prevenzione, assistenza e riabilitazione. Con il passare del tempo si è resa sempre più evidente l’ipertrofia di due di quei pilastri, l’assistenza e la riabilitazione, a danno del primo, la prevenzione. Questo, per i motivi che ho già spiegato in precedenza, ha inevitabilmente comportato un incremento progressivo della spesa sanitaria (garantiamo sanità ma non salute) e sta ponendo a serio rischio la sostenibilità del sistema. Elaboriamo ottimi Piani Nazionali della Prevenzione (PnP) che restano però costantemente sulla carta per motivi logistici ma anche culturali. I medici sono diventati bravissimi a fare diagnosi e terapia ma questo non basta. Dovrebbero riappropriarsi del loro ruolo di garanti della salute e questo non può fare a meno di passare da una revisione di programmi di formazione che in questo momento ignorano completamente il binomio ambiente-salute. Garantire la sostenibilità del sistema sanitario non può più fare a meno, anche per motivi di ordine etico, di considerare la prevenzione primaria. I medici hanno tutte le potenzialità di farsi motori di questo cambiamento che, però, l’Università, gli ordini professionali e la politica dovrebbero favorire’.
Si parla sempre più di gestione sostenibile dei rifiuti: come costruire un futuro concretamente basato sui principi dell’economia circolare?
‘Da decenni spingiamo all’estremo l’estrazione di materie prime per produrre beni di consumo che, a fine vita, generano danni ambientali e, di conseguenza, sanitari, perché smaltiti in discarica o inceneriti. Questo sta comportando da un lato l’esaurimento delle risorse che il pianeta ci mette a disposizione, dall’altro emissioni clima-alteranti, utilizzo insostenibile dei materiali e dell’energia e degrado delle matrici ambientali causato da discariche sempre più rare, costose e inquinanti, dalle emissioni inquinanti derivate dalla combustione dei rifiuti e dalla necessità di smaltire le scorie tossiche dell’incenerimento. Questo processo è stato facilitato da anni di incentivazione “a senso unico” di forme insostenibili di gestione dei rifiuti (in primis l’incenerimento) a danno di proposte gestionali e imprenditoriali più sostenibili perché basate sul recupero reale di materia. Ci sono ormai numerose evidenze che dimostrano come procedere verso forme vere di economia circolare, privilegiare il recupero di materia e mettere al bando la sua distruzione mediante incenerimento generano non solo benefici ambientali ma anche sanitari, oltre a moltiplicare posti di lavoro e possibilità imprenditoriali realmente sostenibili. Il nostro Paese dovrebbe assumere la decisione inedita e innovativa di promuovere, agevolare e incentivare forme di “buona imprenditoria”, abbandonando proposte imprenditoriali contrarie non solo all’economia circolare ma addirittura al rispetto dell’articolo 41 della nostra Costituzione’.