Roma, 8 nov. (askanews) – La classifica stilata annualmente dal Centro Studi di Confindustria dei principali produttori manifatturieri globali non registra cambiamenti di rilievo per il 2016. Cina e Stati Uniti rimangono saldamente in testa con quote di valore aggiunto mondiale in dollari correnti rispettivamente del 29,5% e del 19%, stabili rispetto al 2015, mentre il Giappone, al terzo posto, vede la propria quota tornare a crescere per la prima volta dal 2010, attestandosi all’8,4%. Stabile anche la settima posizione dell’Italia, con una quota costante del 2,3%, il secondo miglior piazzamento europeo dietro alla Germania, al quarto posto, con una quota del 5,9%. Davanti all’Italia restano l’India e la Corea del Sud.
“L’industria è ripartita a trainare il Pil nel mondo – ha spiegato il direttore del Csc, Luca Paolazzi – e anche in Italia”.
Tra i primi quindici produttori mondiali, gli unici a perdere posizioni sono il Brasile e la Russia, scesi rispettivamente al tredicesimo e quindicesimo posto per effetto delle gravi recessioni che li hanno colpiti a partire dal 2014. L’Italia “ha ben agganciato la ripresa industriale dell’Area euro, che dal 2013 risulta superiore a quella degli Stati Uniti e del Giappone: +2,3% contro +0,9% e +2,1% le corrispondenti variazioni medie annue tra il 2013 e il 2016”, ha osservato il Csc. L’industria è tornata a trainare lo sviluppo economico europeo: il differenziale tra la crescita reale del valore aggiunto manifatturiero e quella del Pil è di +0,9 punti percentuali; in Italia è il medesimo.
Il recupero dell’industria italiana, tuttavia, “sta avvenendo nonostante una crescita ancora troppo debole dei prestiti alle imprese del settore. Con uno sviluppo dei mercati dei capitali alternativi tuttora contenuto, nonostante gli indubbi recenti progressi, la risalita economica è stata finanziata finora in gran parte dalrecupero della redditività delle imprese e quindi dall’autofinanziamento”, ha osservato il Csc. Il recupero dei margini è legato in larga misura al calo dei prezzi degli input, specie materie prime, e non al Clup, che dal 2007 al 2016 è aumentato di un corposo 15,2%, “erodendo ulteriormente la competitività di costo delle imprese italiane rispetto alle tedesche, francesi e spagnole”. Poiché “i margini industriali rischiano di essere erosi da un rialzo delle commodity, è cruciale che avvenga finalmente la ripartenza del credito bancario alle imprese per rendere durevole il rilancio produttivo”.
Quanto al mondo del lavoro, dalla primavera del 2015 si osserva un cambiamento di rotta. Il monte ore lavorate è aumentato del 5,2% (fino a metà 2017), prevalentemente per l’allungamento degli orari di lavoro; l’occupazione ha fatto registrare un +1,5%, circa 60mila addetti in più.