Milano, 26 set. (askanews) – Ci sono storie che sono fatte per incontrarsi, perché è naturale che sia così. Una di queste coinvolge la gallerista Ida Pisani con la sua Prometeo Gallery di Milano e l’artista, giornalista e attivista curda Zehra Dogan: due donne che per visione del mondo e scelte in campo culturale hanno molti punti in comune, che ora sfociano nella mostra “Beyond”, allestita negli spazi di via Ventura. Un viaggio attraverso la pratica e le battaglie della trentenne Dogan, che ha pagato di persona, con il carcere, le accuse di fare propaganda per il PKK curdo, che la Turchia considera organizzazione terroristica.
Il corpo femminile è al centro del suo lavoro come artista, i cui fluidi sono anche strumenti della sua pittura, ma il livello più importante sta nella riflessione su come questo corpo sia stato trasformato in una prigione da parte delle ideologie, che ne hanno cambiato addirittura la biologia. Vengono in mente le riflessioni di un grande filosofo come Paul Preciado, vengono in mente le storie terribili di gruppi di donne combattenti massacrate e stuprate, viene in mente insomma un universo di violenza contro la corporeità delle donne che gode di una forma di istituzionalizzazione politica.
A tutto questo il lavoro di Zehra Dogan si oppone e lo fa anche con la pratica artistica. Gli occhi delle sue figure sono praticamente in costante attenzione, i loro corpi portano armi, ma sono armi per una difesa in nome di un cambiamento. Il sangue mestruale è semplicemente un pigmento per certi lavori che indagano anche sul tema della divinità e del ritorno, se volete, a una condizione pre sociale, nella quale i corpi erano solo corpi, non strumenti di prevaricazione o di vergogna. Non erano oggetti disconnessi dal sé, erano una forma di tutto, per questo una manifestazione della divinità, con la d minuscola.
In mostra da Ida Pisani, che da sempre lavora con artisti e artiste che pensano il corpo in senso politico, tappeti, teli e anche le mappe del Kurdistan, una sorta di nazione che non c’è che, oltre che una ferita geopolitica, rappresenta anche un pungolo alle nostre coscienze occidentali. E ci ricorda, come ha fatto la Zehra Dogan giornalista, che sotto la patina dell’ordine continuano a scorrere orrori a cui è necessario opporsi. Anche con le opere di una artista coraggiosa.