Milano, 24 dic. (askanews) – Nel 2018 c’è spazio anche per il romanzo italiano. Che piange la morte di Andrea G. Pinketts, ma continua, seppure con tanti limiti che è perfino noioso stare a ricordare, a esistere e ci sono autori che, al di fuori del genere stretto del giallo-noir dove il vento soffia sempre in poppa, provano a fare cose diverse e interessanti. E’ il caso di Gianluigi Ricuperati, che ha pubblicato per Tunué il proprio quarto romanzo, “EST”, che segna una tappa significativa nella sua carriera, un’opera di maturità sia nel senso delle tematiche che affronta (l’arte, la finzione, ma soprattutto l’inestricabile e irrinunciabile mistero dell’amore, a molti livelli diversi compreso quello più diretto) sia nel senso dell’apertura a una letteratura meno ostinatamente di rottura, più accessibile potremmo forse dire (ma non sono certo che sia esattamente questa la formulazione migliore), più fatta di “carne e sangue”, come ha detto il suo editor, Vanni Santoni. Partendo da una clamorosa installazione d’arte contemporanea, una specie di film segreto (e gli echi di Don DeLillo, ma anche di Thomas Pynchon ci fanno subito drizzare le orecchie, ma alla fine sarà tutto diverso, sarà un romanzo italiano e non americano, come è giusto che sia), il racconto poi prende molte altre pieghe, nelle quali anche la personalità irrefrenabile dell’autore-narratore si diluisce nei confronti, trova modo di rendersi più completa, con grande beneficio per il libro, che oggi appare, appunto, un lavoro maturo, rotondo, pronto per arrivare a un pubblico più vasto senza rinunciare troppo alla ricerca della complessità o del continuo stupore.
L’altro libro italiano che segna la maturità di uno scrittore che negli anni ha continuato a progredire è “Nel cuore della notte” di Marco Rossari (Einaudi). Pur con ancora qualche limite, che peraltro hanno anche i romanzi di Joseph Conrad, relativo al fatto che è indubbio che il libro abbia una sua voce, fortissima, potente e chiara, ma talvolta i “portatori” di questa voce sono più deboli, “Nel cuore della notte” è un’opera importante, che spazza via quasi tutti i luoghi comuni di quei romanzi italiani in fotocopia e che sa prendere la lezione di certi maestri stranieri e ricondurla sulle strade patrie (del resto Rossari è sia un gran lettore sia un ottimo traduttore, entrambi elemento che lo qualificano bene e gli offrono strumenti di chiaro valore aggiunto), con un prodotto letterario originale e vicino. Al quale è bello pensare di avvicinarsi usando proprio una delle immagini pop intorno alle quali ruota il romanzo, ossia la scena del film “Paris, Texas” di Wim Wenders nella quale Harry Dean Stanton parla con Nastassja Kinski attraverso il vetro di un peepshow. Quel vetro è, in un certo modo, il senso del romanzo, del nostro stare “al di qua”, riconoscendo però, nel caso del film con enorme struggimento, anche chi (o cosa, il libro, per esempio) sta “al di là”. E come dice a un certo punto il protagonista della storia, “credo di avere scritto più pagine memorabili in chat che in tutto il resto della mia vita”. Qui, chiaramente, c’è qualcosa che parla di noi, e che decifreremo probabilmente solo con il passare del tempo.