Roma, 28 ott. (askanews) – Il brivido di un “sano” spavento risveglia il corpo e provoca una tempesta chimica di paura e sollievo. A spiegare il fascino dell’orrore è Antonio Uccelli, neuroscienziato tra i più affermati e Direttore Scientifico del San Martino di Genova. “I segnali della paura nascono dall’amigdala, un nucleo a forma di mandorla situato nel profondo del cervello, che modula la risposta alla paura. In una situazione attivante, potenzialmente pericolosa, l’amigdala stimola l’ipotalamo, che attiva a cascata il sistema nervoso simpatico e il sistema corticale surrenale – provocando un flusso improvviso di ormoni e innescando la risposta di lotta o fuga”, spiega Uccelli. All’interno della risposta di lotta o fuga, attraverso questi sistemi, tra cui l’aumento di adrenalina, aumenta la vigilanza e reattività agli stimoli esterni. Per prepararsi al confronto, accelera la frequenza cardiaca e l’afflusso di sangue ai muscoli, la respirazione accelera e i livelli di glucosio nel sangue aumentano, dando al corpo una rapida carica di energia, pronto per l’azione. “Sebbene abbiamo compreso alcuni aspetti delle reti neurali della paura e di come coordinano il comportamento, ci sono ancora molte incognite”, precisa Matteo Pardini, Professore Associato di Neuroscienze del San Martino e dell’Università di Genova ed esperto di scienze cognitive: “Quando siamo esposti a stimoli sensoriali o a un ambiente potenzialmente minaccioso,nel cervello vengono attivate due vie. La prima – spiega il neuroscienziato – è veloce: le informazioni vengono trasferite al talamo sensoriale e quindi all’amigdala, consentendo un’azione immediata agli stimoli minacciosi. La seconda via è un percorso più lento e indiretto: le informazioni vengono inviate dal talamo alla corteccia, lo strato più esterno del cervello, associato alla coscienza, al ragionamento e alla memoria. Questo consente di analizzare la minaccia e ci consente di determinare se siamo in pericolo reale”. “Non sappiamo esattamente dove si manifesti la sensazione di paura nel cervello – continua Uccelli – ma è probabile che provenga dall’attivazione coordinata di una rete che coinvolge più regioni cerebrali. Se la minaccia è considerata reale, verranno attivate altre aree del cervello per avviare una risposta coordinata al pericolo possibile. Il ricordo del pericolo sarà trasferito e archiviato nella memoria, attraverso l’attività dell’ippocampo – spiega ancora – in modo che siamo in grado di ricordare e identificare la minaccia al prossimo incontro”. “Nelle forme ricreative della paura dai film horror ai racconti per bambini c’è invece un punto giusto in cui il contesto non è troppo terrificante, ma nemmeno troppo addomesticato – aggiunge Uccelli -. In quel punto, un’ondata di paura seguita rapidamente da una di sollievo provoca il rilascio di trasmettitori che promuovono il benessere nel cervello (endorfine e dopamina) e che innescano una scarica di euforia. Tuttavia, è importante tenere a mente che ognuno di noi – avverte – ha una propria linea di confine oltre alla quale la paura innocua può scatenare angoscia. Quello che può essere un brivido per una persona, può essere davvero terrificante per un’altra. Quindi ad Halloween va bene osare, ma nelle quantità su misura per ciascuno”.
Halloween: la “finta paura” fa bene al cervello
I neuroscienziati dell'IRCCS San Martino di Genova spiegano perchè