Roma, 7 nov. (askanews) – E se alla fine fossero stati i cattolici fedeli a Papa Francesco a fare la differenza nell’elezione di Joe Biden e nella sconfitta di Donald Trump? La suggestione, più una boutade che un’ipotesi, trova qualche conferma statistica nei primi sondaggi che cercano di mappare il voto religioso nel voto più combattuto della storia recente degli Stati Uniti.
Il voto cattolico da molto tempo non è più monolitico. In passato i cattolici, spesso lavoratori di origine europea (irlandese, polacca, italiana), erano tendenzialmente democratici. Ma da decenni, ormai, il cattolicesimo a stelle e strisce è diviso grosso modo a metà. E dunque, come ha notato E.J. Dionne Jr., “il voto cattolico non esiste come tale, eppure conta”.
Conta per tre ordini di motivi. Primo, perché l’elettorato cattolico è consistente: quest’anno, rappresentava il 22% dell’elettorato complessivo. Secondo, perché sono particolarmente presenti nei cosiddetti “swing states” o “battleground states”, gli Stati dove la battaglia per scegliere i grandi elettori è più incerta: è cattolico il 25% della popolazione in Wisconsin, il 24% in Pennsylvania, il 23% in Texas, il 21% in Florida, il 21% in Arizona. Terzo, perché i cattolici tendono a partecipare alle elezioni più di altri gruppi: “In Michigan, Pennsylvania e Wisconsin stimiamo che i cattolici potrebbero andare al voto in una percentuale del 5, 6 e 4 superiore alla media della popolazione, rendendoli anche più importanti per l’esito delle elezioni”, ha detto Steve Krueger, presidente dei “Catholic Democrats”.
E dunque, come scrive il gesuita Thomas Reese su Religion News Service, “i cattolici hanno un impatto su chi vince, specialmente in elezioni combattute dove gli elettori cattolici altalenanti (swing) possono determinare i risultati”.
Gli elettori cattolici tendono a votare il candidato che vince: nel 2004 hanno votato al 56% per George W. Bush, nel 2008 al 54% Barack Obama, quattro anni dopo di nuovo Obama al 50% e nel 2016 al 52% Donald Trump.
Quest’anno è ancora presto per avere dati solidi, ma una prima indagine, realizzata dall’istituto Norc della University of Chicago su 110mila elettori per la Associated Press ha rilevato che mentre otto elettori su 10 dei protestanti evangelicali – un bacino elettorale tradizionalmente repubblicano – ha votato per Trump, i cattolici sono stati più tiepidi: il 50% ha votato Trump, il 49% ha votato per Biden.
Tra i cattolici bianchi, il 57% ha sostenuto Trump e il 42% Biden: nel 2016 fu il 64% dei cattolici bianchi a votare Trump e solo il 31% votò Clinton, secondo il Pew Research Center. Tra i cattolici ispanici, il 67% ha votato Biden, il 32% Trump.
Ora, mentre il sostegno evangelicale per Trump è piuttosto scontato, ed è scontato il voto maggioritariamente democratico delle comunità ebraiche e musulmane, il calo relativo del gradimento di Trump tra i cattolici, e anche tra i cattolici bianchi, e la crescita relativa del consenso per Biden è al tempo stesso comprensibile e rilevante.
Comprensibile innanzitutto perché Joe Biden è cattolico: sarà il secondo presidente cattolico degli Stati Uniti dopo John Fitzgerald Kennedy. Ogni domenica va a messa, ed ha esposto ampiamente la propria fede cattolica nel corso della campagna elettorale. E’ rilevante perché anche Donald Trump ha puntato molto sull’elettorato cattolico, ma un cattolicesimo diverso: l’apice è stato nominare, a pochi giorni del voto, la cattolica conservatrice Amy Coney Barrett alla Corte suprema.
Il cattolicesimo statunitense, come e più di quello mondiale, ha al suo interno sensibilità molto diverse. I cattolici pro-Trump affermano che non si può votare Biden perché è favoevole all’aborto, i cattolici pro-Biden dicono che non si può votare Trump perché ha ignorato le questioni sociali, a partire dalle draconiane politiche migratorie.
Quel che può avere giocato un ruolo non secondario, in questo quadro complesso, è la variabile Bergoglio. Papa Francesco ha una agenda sociale agli antipodi di Trum, e la reciproca diffidenza tra il Pontefice e il presidente uscente degli Stati Uniti non è mai stata nascosta da entrambi i lati, che si trattasse del muro in Messico per fermare i migranti o dell’accordo di Parigi sul clima, dell’atteggiamento nei confronti dei paesi a maggioranza musulmana o dell’atteggiamento nei confronti della Cina. A livello globale, Papa Francesco è forse stata il principale contrappunto al trumpismo – statunitense e internazionale – negli ultimi quattro anni. Per citare solo l’ultimo episodio, a poche settimane dalle elezioni Jorge Mario Bergoglio ha deciso di promuovere cardinale l’afro-americano Winston Gregory, arcivesco di Wahsington che aveva pubblicamente rimbrottato il presidente per aver fatto sgombrare con i lacrimogeni i manifestanti che protestavano per l’uccisione di George Floyd e raggiungere il santuario dedicato a Giovanni Paolo II per una photo opportunity: Karol Wojtyla “sicuramente non approverebbe l’uso di gas lacrimogeni e di altri deterrenti volti a silenziare, disperdere o minacciare queste persone solo per avere l’occasione di una fotografia di fronte a un luogo di preghiera e di pace”.
Il presidente degli Stati Uniti ha cercato di sfruttare la situazione, esacerbando le divisioni che allignano nel cattolicesimo – e nell’episcopato – degli Stati Uniti. Investendo – lo ha raccontato in questi anni Massimo Faggioli, storico del cristianesimo trapiantato negli Stati Uniti – sulla deriva tradizionalista di una parte del cattolicesimo statunitense, ben diversa dal conservatorismo dei decenni passati. Il suo consigliere Steve Bannon – nel frattempo uscito dalla Casa Bianca – ha attaccato frontalmente Papa Francesco. Il cardinale staunitense Raymond Leo Burke, grande estimatore di Trump, è uno dei capofila dell’opposizione reazionaria curiale al Papa. E un altro ultraconservatore, monsignor Carlo Maria Viganò, un ex nunzio apostolico negli Stati Uniti che è arrivato a chiedere le dimissioni del Pontefice, è un estimatore entusiasta di Trump, tanto da averlo incensato come riferimento nella “battaglia tra figli della luce e figli delle tenebre” e sostenere, solo pochi giorni fa, la versione della frode elettorale propugnata dal presidente uscente.
Donald Trump ha corteggiato l’elettorato cattolico prendendo di mira il Papa. Una scelta che potrebbe avere avuto un ruolo nella scommessa perduta della rielezione.