Roma, 25 giu. (askanews) – Sebbene l’avvio della fase 2 abbia determinato la ripresa delle attività ambulatoriali ed ospedaliere non urgenti, con il progressivo allentamento delle misure di sicurezza, le oltre 260.000 persone con Malattia di Parkinson in Italia rappresentano, per età e condizioni di salute, una delle categorie di pazienti fragili da proteggere. Per continuare a proteggerle senza privarle dell’accesso ai servizi sanitari, una risposta concreta arriva dalla telemedicina e, in particolare, dalla teleassistenza infermieristica specializzata fornita da ParkinsonCare. Il servizio, ideato da Careapt – start up del gruppo Zambon – e reso gratuito fin dalle primissime fasi dell’emergenza grazie alla collaborazione con Confederazione Parkinson Italia Onlus, vede estesa la gratuità fino al 30 settembre.
Con oltre 4mila interventi di supporto a persone con Malattia di Parkinson e ai loro familiari in soli 3 mesi, di cui 3.197 in teleassistenza infermieristica, 230 video-consulti con neurologi e altri professionisti del team multidisciplinare, 7 accessi al MMG e 2 soli accessi al Pronto Soccorso, i numeri di ParkinsonCare offrono un importante contributo al dibattito sul ruolo della telemedicina come fattore abilitante per introdurre nuovi modelli di cura della cronicità. A sottolineare la rilevanza di questi numeri, arrivano anche due pubblicazioni scientifiche sul Journal of Parkinsonisms and Related Disorders e sul British Journal of Neuroscience Nursing che descrivono sotto angolature diverse il carattere innovativo dell’esperienza italiana, mettendo in evidenza la necessità di adottare per le malattie croniche un modello di assistenza non più reattiva, ma quotidiana, proattiva e personalizzata.
“L’esperienza fatta in questi mesi ha suscitato l’attenzione della comunità scientifica internazionale. Si tratta, di fatto, del primo esempio di rete multidisciplinare nel Parkinson in Europa – afferma Orientina Di Giovanni, General Manager di Careapt -. La telemedicina, infatti, non ci ha solo permesso di visitare pazienti che non avevano accesso ad ambulatori ed ospedali. Ne abbiamo fatto un modo diverso di fare medicina della cronicità, affiancando ai pazienti un ‘personal care manager’ e orchestrando l’intervento di tutti gli attori sanitari del PDTA, tenendoli sempre aggiornati e partecipi. Si chiama ‘continuità terapeutica’, ‘integrated care’, ‘medicina collaborativa’. È il futuro della cronicità e solo la tecnologia può renderlo possibile e sostenibile. È urgente che questo sia riconosciuto e governato”.
Secondo recenti articoli pubblicati su The Lancet e JAMA la telemedicina non rappresenta più soltanto una risposta all’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, ma può diventare la forma elettiva di medicina, soprattutto nella presa in carico delle persone con malattie neurodegenerative, che possono essere costantemente monitorate da una rete di figure altamente specializzate all’interno del proprio ambiente domestico, in grado di restituire una prospettiva più realistica delle loro condizioni. Si tratta del cosiddetto modello “home-hub-and-spoke”, che mette insieme tre componenti fondamentali: primo fra tutti l’ambiente domestico, che è di cruciale importanza, perché permette di prendere in carico il paziente nel suo contesto di vita quotidiano, adattando strategie terapeutiche e assistenziali agli obiettivi di salute e qualità della vita del singolo paziente; un hub di figure multidisciplinari specializzate, tempestivamente a disposizione del paziente e quindi in grado di abbattere i tempi di attesa; e infine un “personal care manager” che affianca i pazienti nella vita di ogni giorno, orchestrando l’intervento di tutti gli attori sanitari coinvolti nel percorso diagnostico terapeutico assistenziale. (segue)