Roma, 10 giu. (askanews) – “Nel caso in esame risulta acclarato che l’occupazione dell’immobile da parte dei diversi nuclei familiari si protrae da numerosi anni, in alcuni casi sin dal 2003, e non risultano in atti evidenze di situazioni contingenti che possano integrare un attuale pericolo di un danno grave alla persona. La situazione economico patrimoniale degli occupanti l’immobile effettuata dalla Guardia di Finanza al contrario, attesta lo svolgimento di attività lavorativa e la percezione di redditi da parte degli stessi. Trattasi quindi di stabile occupazione di un immobile, trasformato dagli indagati in abituale residenza. L’immobile risulta peraltro inserito Come già detto nel piano straordinario per l’emergenza abitativa del Lazio”. Così scrive il giudice delle indagini preliminari del tribunale di Roma, Zsuzsa Mendola, in un passo del decreto di sequestro preventivo deciso in relazione al palazzo di via Napoleone III numero 8, all’Esquilino, sede di Casapound.
Nel procedimento relativo all’immobile sono indagate 16 persone, che secondo gli inquirenti sono state di fatto domiciliate lì. Tra queste c’è il fondatore del movimento politico, Gianluca Iannone, ed altri esponenti di riferimento come Davide Di Stefano e Simone Di Stefano, Alberto Palladino. L’ordinanza è stata notificata oggi. Il gip, nel concedere comunque il sequestro così come sollecitato dalla Procura, non ha riconosciuto appieno l’impianto accusatorio. “Il pm al fine di ricostruire la condotta di partecipazione al reato associativo richiama numerose vicende verificatesi nel corso degli anni, in tutto il territorio nazionale, in cui si sono verificati momenti di tensione e scontri tra estremisti di opposte fazioni politiche, con condotte di per sé biasimevoli, con figuranti delitti di rissa, rapina, lesioni, ingiurie, minacce, furto, violenza privata”.
Il riferimento è all’accusa prevista dal secondo comme dell’articolo 604 bis secondo cui l’associazione Casapound avrebbe tra i propri scopi – secondo l’impostazione dei pubblici ministeri – “l’incitamento alla discriminazione ed alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali e religiosi”. In ogni caso – continua il giudice Mendola – “dalle informative relative alle suddette vicende acquisite in atti non emergono elementi probatori sufficienti a ricostruire compiutamente i singoli episodi, le modalità della condotta, le modalità di identificazione dei soggetti coinvolti e le modalità di attribuzione agli stessi della qualità di militanti di CasaPound, l’oggetto del contendere fra le diverse fazioni politiche. Elementi probatori in ordine alle singole vicende non possono certamente essere trattati dagli articoli di giornale acquisiti in atti”.
E quindi “non sussistono, in definitiva, elementi che consentono di ricostruire ad unità le diverse vicende giudiziarie ai fini della valutazione della sussistenza del delitto di partecipazione ad una associazione nonché di accertare se le condotte poste in essere, per quanto riprovevoli, siano espressive di ideologie o sentimenti razzisti o discriminatori, ovvero se sussista lo scopo del l’incitamento alla discriminazione nel senso anzi detto, per motivi fondati sulla qualità personale del soggetto e non invece, sui suoi comportamenti e sulla ritenuta assenza di condizioni di parità”.