Roma, 20 mag. (askanews) – Le immagini della folla della movida, senza mascherine, del ritorno agli aperitivi di massa, senza mascherine, sono apparse non appena i decreti del governo hanno sancito le riaperture e di fatto il vero avvio della Fase 2 dell’epidemia del coronavirus in Italia. Tutto come prima come se il virus fosse sparito. Una ‘rappresentazione sbagliata’, quanto pericolosa, invece ‘dovremo imparare a gestire una nuova normalità ’, ma per imparare i nuovi comportamenti ci vorrà del tempo, spiega il professore di psicologia Fabio Lucidi, preside della facoltà di medicina e psicologia dell’Università di Roma ‘La Sapienza’.
Ecco il primo elemento da tenere presente, si chiama ‘effetto lockdown’. Ovvero ‘fino ad alcuni giorni fa non eravamo chiamati a utilizzare schemi di ragionamento, bensì a utilizzare schemi di comportamento determinati. Ci veniva detto esattamente ciò che non si poteva fare. Una situazione emotivamente fastidiosa, perché il nostro spazio di libertà era ridotto, ma anche estremamente semplice dal punto di vista comportamentale e psicologico: avevamo uno spazio delimitato molto ristretto, le nostre case, ma dentro quello spazio avevamo piena capacità di controllo, sostanzialmente senza negoziazioni’.
‘Da una parte – spiega il professore – in una situazione di pericolo è più facile fare quello che ci viene detto, dall’altra nello spazio seppure circoscritto che ci veniva lasciato, con il lockdown noi eravamo assolutamente padroni, uno spazio interamente sotto il nostro controllo. Il modello di comportamento che abbiamo esercitato è: l’unico spazio che abbiamo a disposizione è quello di casa nostra ma al motto di padroni dentro casa nostra’. E ‘il nostro spazio personale era diventato un posto facilmente controllabile, con un numero di negoziazioni sociali limitatissimo, al massimo i familiari conviventi. Con un livello di organizzazione generale tutto interno. Lo spazio attuale è completamente diverso, è di nuovo uno spazio di negoziazioni sociali, in cui nei fatti di nuovo la mia libertà si ferma dove inizia la libertà dell’altro’. Da un lato ce n’eravamo dimenticati, dall’altro ce lo ritroviamo con una complicazione in più non da poco: ‘Addirittura il mio spazio individuale è totalmente dipendente dai movimenti dell’altro. Sono libero se nessuno si muove verso di me, altrimenti sono chiamato in continuazione a cambiare direzione, per mantenere la distanza e seguire le regole di distanziamento sociale’. ‘Dobbiamo trovare un elemento di coordinamento con tutti gli altri, questo rende le cose già normalmente molto complicate, questa in più è una normalità del tutto diversa, sia rispetto a quello che è stata sperimentato negli ultimi due mesi, sia rispetto a quella pre- lockdown’. ‘Non solo dobbiamo ritornare a un livello di negoziazioni sociali a cui, in quarantena, non eravamo abituati, siamo ora chiamati ad un livello in cui il fallimento di questa negoziazione sociale si associa ad un pericolo, siamo chiamati a fare una cosa a cui non siamo mai stati abituati’.
E qui spunta una parola con cui fare i conti in modo diverso da ora in poi: ‘Previsione’. ‘Ora – spiega il preside della facoltà di medicina e psicologia della Sapienza – serve una previsione, un comportamento organizzativo a priori. Facciamo un esempio: situazione tipica prima del virus, il sabato sera voglio andare al ristorante, telefono a un paio di amici alle 18, al massimo anche al ristorante e vado. Presa la decisione la metto in atto. Voglio fare una cosa, la faccio. Non potremo fare così in molti più aspetti della vita quotidiana, da ora in poi. La nuova organizzazione prevede la necessità di evitare che troppe persone facciano la stessa cosa. Non è una cosa banale: dovremo trovare un nuovo e articolato modello comportamentale e organizzativo’. ‘Tutti noi siamo abituati a fare delle cose e rinunciare è difficile e anche molto faticoso’. Da una parte – fa notare il professore – ora il lockdown ha scardinato le abitudini: potremmo approfittare del reset di oltre due mesi che ci ha fatto (forse) perdere alcune abitudini e potremmo imparare a comportarci più facilmente (forse) in maniera diversa.
Certo questi primi giorni ‘l’effetto lockdown del ‘padroni a casa nostra’ pesa’, ‘e non solo per lo spaesamento del dover imparare di nuovo a negoziare ma anche per un rischio ‘aggressività ’: molte persone potrebbero reagire con aggressività verso gli altri ma anche verso se stessi, sviluppando stati come ansia, depressione’.
Con la riapertura ‘si allarga la sfera ma si perde il controllo a vari livelli e in un contesto dove c’è un rischio per la nostra salute’.
Le strade della movida come se tutto fosse come prima, senza mascherine…non abbiamo imparato nulla? ‘Per fare oggi un aperitivo abbiamo di fronte un livello di difficoltà che non conoscevamo prima e molto complesso. Abbiamo di fronte un nuovo e complicato livello di situazioni. Tre opzioni: se io vedo il cartello ‘in questo ristorante non si può fumare’, so che non si può fare una cosa chiara in uno spazio ristretto, se entro accetto e non provo neanche a fumare. Invece il cartello dice ‘si può fumare’. Entro e, se sono un fumatore, fumo senza preoccuparmi di nulla e di nessuno. Terza situazione: ‘si può fumare ma cercando di non dare fastidio’, è complicatissimo. E’ esattamente quello che nessun medico consiglierebbe ad un paziente: fumare con moderazione. La moderazione è la misura più difficile, e si raggiunge non a priori ma con continue negoziazioni di fronte a ogni interazione’. Inoltre, sulle strade della movida si trova un altro ostacolo ‘l’imitazione sociale’: ‘Io – spiega Lucidi – posso anche uscire animato dei migliori propositi, starò ad un metro di distanza da tutti e terrò la mascherina sulla faccia. Arrivo al tavolino del bar all’aperto, mi metto seduto a un metro di distanza dall’amico, ma poi arriva il cameriere, si avvicina col cocktail: prima difficoltà in cui mi trovo; poi una persona al tavolo vicino si toglie la mascherina, così fanno anche altri due al tavolo di lato, mi trovo di fronte alle spinte degli altri comportamenti ed è difficile mantenere il proprio, scatta l’imitazione sociale, il contagio psicologico. Finché nessuno fa una cosa è facile non farla’. E in men che non si dica ecco l’aperitivo di massa e senza mascherine, nonostante il coronavirus. Allora meglio obbligare, ad esempio, le persone a tenere sempre le mascherine, anche all’aperto? ‘Una dimensione meno responsabilizzante per il cittadino non è mai – sottolinea il professore Fabio Lucidi – il miglior processo ma è la strada più facile. Di fatto siamo di fronte ad una vera e propria sfida, una prova di maturità . Saremo chiamati nei prossimi giorni a stabilire quanto siamo in grado di articolare la nostra adultità di cittadini, riuscendo a mettere in atto dei comportamenti moderati. E’ evidente che all’aperto a due metri di distanza il contagio non c’è e la mascherina non serve, se io pongo l’obbligo sempre le mascherine all’aperto, non è perché c’è il rischio ma è perché ritengo il cittadino non in grado di autoregolarsi. La curva dei contagi dirà se le immagini della movida di questi primi giorni di riapertura sono eventi eccezionali o se servirà un aggiustamento dei comportamenti e anche delle nuove regole’.
‘Se questi comportamenti non sono isolati ed eccezionali ma il frutto dell’idea che il covid non c’è, si palesa un errore drammatico di cittadinanza’, e – avverte il preside della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza – prima o poi dovremmo in qualche modo imparare ad autoregolarsi e fare le cose con distanze e mascherine, perché il virus resterà con noi per un po’ di tempo, almeno fino al vaccino. C’è bisogno di un grande apprendimento di massa. Ma trattare il cittadino come un bambino è una dimensione che è sempre molto limitante. Certo se le finestre delle aperture cozzano con le curve epidemiche e i contagi risaliranno, i decisori politici saranno costretti a togliere delle libertà . Il messaggio migliore per far crescere il livello di cittadinanza, la maturità sociale è: darci l’opportunità di fare bene ma fermarci se non impariamo. Un po’ come i genitori fanno coi figlià per affrontare l’era del coronavirus c’è bisogno di una crescita degli individui come cittadini e crescere passa attraverso l’assunzione di piccoli rischi calcolati. Al momento usiamo le finestre epidemiologiche delle due settimane per capire se il rischio calcolato è gestibile o meno, se c’è bisogno di misure più stringenti. Anche se – aggiunge – nessuno sa quanto tempo sia necessario per un’adeguata risposta di comportamento, tutti stiamo facendo ricerca sul campo in uno spazio che nessuno ha mai vissuto prima’.
Fabio Lucidi rivela un altro motivo dietro questo ostinato ritorno al tutto come prima: ‘Errata rappresentazione’. C’è un interessante strumento, consultabile online, ‘Il Barometro Salute Mentale’. E’ un progetto dell’Ordine degli psicologi del Lazio in collaborazione con la facoltà di medicina e psicologia della Sapienza, che scatta ogni giorno fotografie dello stato di salute mentale e benessere psicologico della popolazione italiana, durante e dopo l’emergenza legata all’epidemia da Covid-19, sia con indagini qualitative che attraverso ‘tags cloud’. E’ ‘una finestra aperta per capire come le persone stanno vivendo l’era del coronavirus, una finestra in cui psicologi e psicoterapeuti mettono, in maniera anonima, le parole di sintesi, le parole chiave che emergono dalle loro sedute, evidenziabili per genre, fasce d’età , per giorni significativi’. Ad esempio il primo maggio in lockdown la prima parola in evidenza era ‘solitudine’, e se nel computo totale dei giorni ricorrenti sono ‘ansia’ e ‘lavoro’, oggi tra le parole chiave figurano ‘scegliere’, ‘indecisione’, ‘chiarezza’, ‘amici’, ‘cibo’, ‘rabbia’, tutte di egual peso.
‘Nei dati raccolti dall’ordine degli psicologici del Lazio è emerso – spiega Lucidi – che la rappresentazione delle persone nei giorni del lockdown era un ‘tutto o niente’, prima non c’era il virus, poi c’era la pandemia, poi finita la pandemia torneremo come prima. Una rappresentazione semplice e comoda, quanto sbagliata. Ma le persone agiscono sulla base della loro rappresentazione, per questo ora vivono la tentazione del ritorno ad avere gli stessi comportamenti, del ‘come era prima’. La rappresentazione basata su un prima e un dopo non è reale. L’idea bifasica Covid sì- Covid no è rischiosa e irreale. La realtà è che semplicemente la circolazione del virus è a un livello di intensità che al momento ci permette di riacquistare alcune libertà , che vanno modulate, esercitate con moderazione.
Costruire questa rappresentazione più complessa però non è immediato, ci vuole un po’ di tempo. I comportamenti di moderazione sono complicati, ci sarà bisogno di manovre di aggiustamento. Nessuno è mai adeguatamente pronto e maturo di fronte a un comportamento mai messo in atto, la situazione è talmente tanto diversa da ciò che abbiamo sperimentato finora che tutti dobbiamo imparare. E il cambiamento spetta a tutti.
Quasi nulla nella storia di questo secolo, se non la seconda Guerra mondiale, è stato così largamente condiviso sul pianeta Terra, tutti stanno cambiando e sperimentando modelli nuovi di comportamento’.
Il rischio dell’imparare ovviamente ‘deve essere calcolato’, quindi deve essere pronta una strategia restrittiva se i contagi risalgono, nel frattempo il professor Lucidi lancia la sua parola chiave: ‘Autoregolamentazione, self regulation. Sperimentare la libertà senza incorrere o far correre agli altri troppi rischi, nell’era del coronavirus’.
Gtu/Int9