Roma, 12 mag. (askanews) – Pubblicato su «Nature Communications» lo studio firmato dal team di ricerca guidato da Graziano Martello del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova che ha identificato per la prima volta il gene responsabile della conservazione delle cellule staminali pluripotenti, come le embrionali staminali o le iPS. La particolarità di queste unità biologiche sta nella loro capacità di dare origine a qualsiasi cellula, dai neuroni a quelle del fegato. Le iPS, staminali pluripotenti indotte vengono generate a partire da cellule adulte del nostro corpo in un processo chiamato riprogrammazione. Questo rende le staminali una fonte cellulare preziosa per le terapie avanzate di medicina rigenerativa.
Per essere conservate, le cellule staminali vengono generalmente congelate, ma, una volta riportate a temperatura idonea, è essenziale mantenerle in modo stabile prima di farle differenziare nelle cellule desiderate, ad esempio in neuroni. Finora i metodi usati per stabilizzarle si erano fondati su metodologie empiriche: i ricercatori da sempre sanno che per conservare le staminali scongelate occorre aggiungere ogni giorno una particolare molecola, chiamata TGF-beta, che agisce da inibitore e impedisce alle cellule di differenziarsi. Eppure prima del nuovo studio pubblicato dal team di Graziano Martello non si conosceva ancora come funziona esattamente questo processo di conservazione delle staminali. Il team padovano, formato da giovani ricercatori tutti under quaranta, ha scoperto come agisce la proteina TGF-beta: quando viene somministrata attiva un particolare gene, ribattezzato ZNF398, responsabile del mantenimento delle cellule staminali pluripotenti. Questo gene agisce dunque da “conservante” delle staminali, e la sua presenza può essere considerata una cartina tornasole del buon funzionamento delle iPS.
«Questa scoperta è frutto di cinque anni di lavoro – spiega Graziano Martello del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Ateneo patavino – e il gene che abbiamo identificato è quello che da solo permette di mantenere le staminali indifferenziate. Per scovarlo abbiamo confrontato il comportamento delle cellule staminali in presenza o assenza della proteina TGF-beta e abbiamo isolato i primi geni che nelle staminali sembravano essere influenzati da questa proteina. Il nostro studio non servirà a una specifica malattia – continua Martello – ma avrà un impatto su tutte le patologie che oggi vengono studiate grazie alle cellule staminali pluripotenti. Fino a dieci anni fa erano pochi i laboratori in tutto il mondo che lavoravano su queste cellule, oggi un grandissimo numero di progetti di ricerca si basa proprio sulle staminali. Questa scoperta aiuterà a conservare meglio le cellule staminali pluripotenti e controllarne bene la differenziazione, offrendo uno strumento potente e estremamente affidabile».
«Siamo partiti selezionando un campione di circa 4.000 geni, ridotti poi a 15 attraverso una serie di validazioni – affermano Irene Zorzan e Marco Pellegrini del Laboratorio di Biologia delle cellule staminali pluripotenti dell’Università di Padova che hanno condotto lo studio -. A quel punto li abbiamo provati sperimentalmente uno a uno. Per ciascun gene sono serviti circa due mesi di lavoro e quindi la fase di test è durata in tutto quasi due anni. Alla fine degli esperimenti non avevamo più dubbi: ZNF398 era il gene che cercavamo. Questa scoperta permetterà a molti laboratori in tutto il mondo di migliorare il loro processo di mantenimento delle staminali umane una volta scongelate». (segue)