Roma, 22 apr. (askanews) – E’ discriminatoria la delibera del Comune di Roma che chiede la residenza anagrafica come requisito per il buono spesa, escludendo così gli immigrati irregolari. Il provvedimento è della giudice del tribunale civile della Capitale, Silvia Albano. La decisione, in dieci pagine, accoglie in via d’urgenza il ricorso di un immigrato filippino, Randy A., 38 anni, che ha contestato la delibera del Campidoglio.
In particolare – si spiega – il ricorso, di cui oggi riferisce il quotidiano Repubblica, è stato curato da Federica Remiddi insieme alle colleghe Cristina Laura Cecchini, Giulia Crescini ed all’avvocato Salvatore Fachile. A parere degli osservatori si tratta di una decisione che segna un passaggio storico, in quanto afferma il principio per cui i diritti fondamentali dei cittadini stranieri -anche privi di un permesso di soggiorno- non si limitano alle prestazioni sanitarie (principio indiscusso), ma si estendono anche a quelle prestazioni di natura economica garantite dalle istituzioni per soddisfare i bisogni primari (come quello alimentare), in quanto espressione dell’inderogabile dovere costituzionale di garantire a tutti gli esseri umani presenti sul territorio nazionale i diritti inalienabili dell’uomo.
ll Tribunale di Roma ha accolto, con decreto inaudita altera parte, la domanda cautelare presentata con ricorso d’urgenza da parte di un nucleo familiare filippino costituito da tre minori, sprovvisto di permesso di soggiorno e di residenza, ad essere ammesso al beneficio del buono spesa per le famiglie in difficoltà introdotto dal Comune di Roma nell’ambito di quanto previsto nell’Ordinanza del Capo della Protezione Civile n. 658 del 29 marzo 2020. Il giudice Albano nel ricostruire la disciplina dei diritti fondamentali degli stranieri, tiene conto dell’importante evoluzione giurisprudenziale intervenuta soprattutto in materia di diritti sociali degli stranieri, ribadendo il principio affermato da tempo dalla Corte Costituzionale inerente il carattere universalistico dei diritti umani fondamentali per cui “esiste un nucleo “minimo” di questi diritti che non può essere violato e spetta a tutte le persone in quanto tali, a prescindere dalla regolarità del soggiorno sul territorio italiano”.
Secondo quanto si legge nel provvedimento del giudice Albano che “anche nella disciplina dei diritti sociali, nella quale pure la discrezionalità del legislatore è molto più ampia che nella disciplina dei diritti di libertà – perché sono richiesti l’uso e la allocazione di risorse scarse – il diverso trattamento deve essere giustificato da ragioni serie e non deve, comunque, violare quel nucleo di diritti fondamentali che, appunto, vengono definiti “inviolabili”.
Pertanto, il giudice, ammette al beneficio del buono spesa il nucleo familiare irregolarmente soggiornante sul territorio italiano e qui radicatosi in base al solo domicilio, in quanto trattasi di misura emergenziale introdotta a tutela di un diritto fondamentale, tra cui quello all’alimentazione e alla vita stessa, che non ammette discriminazioni e che pertanto bisogna riconoscere e garantire a tutte le persone, a prescindere dalla loro presenza regolare sul territorio o da specifici requisiti quale quello della residenza, e a maggior ragione nel caso di specie in cui sono tra l’altro coinvolti tre minori, soggetti particolarmente vulnerabili e meritevoli di tutela.
L’immigrato in questione era arrivato in Italia nel settembre del 2016 insieme alla compagna e ai due figli della donna rimasta vedova. Dalla loro relazione era poi nato un figlio in Italia e la coppia era diventata titolare di permesso di soggiorno per sei mesi. Scaduta l’autorizzazione, però, i due e i figli sono rimasti a Roma. Lui lavora come aiuto cuoco, lei come domestica. I figli vanno regolarmente a scuola.
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