Roma, 30 mar. (askanews) – “Usare diffusamente i letti delle residenze sanitarie assistenziali per anziani per decongestionare gli ospedali è una soluzione inopportuna” a dirlo è Raffaele Antonelli Incalzi, presidente della Società Italiana di Geriatria e Gerontologia (SIGG), riferendosi al decreto del Ministero della Salute del 23 marzo che consente l’apertura delle RSA ai malati Covid-19 post acuti, individuando le RSA come strutture adatte ad accoglierli per cure extra ospedaliere. “C’è un bisogno disperato di liberare posti in ospedale, ma le RSA mediamente non sono adatte, non hanno gli spazi, non hanno strutture separate, non hanno dispositivi di protezione individuali nè personale formato per gestire questo tipo di pazienti – sottolinea Antonelli Incalzi – realizzare reparti o moduli Covid nelle RSA vuole dire mettere a rischio anziani già residenti che si trovano a essere l’anello più debole di questa pandemia. In una guerra come questa non possiamo esporci al pericolo del ripetersi di nuovi momenti di contagio che rischiano di trasformare le RSA in “bombe biologiche” di diffusione del virus. Solo in RSA con struttura architettonica e organizzativa che permetta l’assolvimento di questo compito in un’area realmente isolata e isolabile dal restante ambito della RSA è ipotizzabile l’applicazione relativamente sicura della disposizione”.
“La soluzione più logica consiste nel reperimento di soluzioni abitative diverse (alberghi, strutture militari, residenze per studenti o familiari dei pazienti , che hanno il vantaggi di trovarsi in prossimità degli ospedali) in modo da garantire da un lato monitoraggio e assistenza in fase di convalescenza, dall’altro prevenire rischi di diffusione ai soggetti più vulnerabili. Infatti, anche il rispetto delle migliori pratiche, a fronte di documentate fluttuazioni dello stato di contagiosità, non permetterebbe di tenere al riparo da rischi gli anziani di una RSA in cui coesistano, non separate rigidamente, aree tradizionali e aree Covid19”.