Paradosso anziani: dai 65 agli 85 anni si dimezzano cure per cuore

Esperti lanciano il primo manifesto contro l'ageismo

FEB 14, 2020 -

Roma, 14 feb. (askanews) – Gli anziani sono la maggioranza fra i pazienti con problemi di cuore ma il meglio delle cure e della ricerca, man mano che avanzano gli anni, non sembra destinato a loro. Ogni anno infatti in Italia 150mila over 65 vanno a ingrossare le fila dei pazienti colpiti da infarto o ictus, altri 50mila sviluppano una fibrillazione atriale e 200mila si ammalano di scompenso cardiaco. Un esercito di nuovi pazienti ancora troppo spesso tagliati fuori dalle terapie più avanzate quanto più sono vecchi, senza valide ragioni cliniche né economiche, ma solo in base all’età.

“Le malattie cardio-cerebrovascolari riguardano oltre il 60% degli over 65 e sono le patologie più frequenti in questa classe d’età, con un picco dell’80% negli ultra 85enni, che in Italia raggiungono 2,2 milioni – spiega Alessandro Boccanelli, presidente SICGe e co-presidente del congresso – tuttavia con l’aumento dell’età le prescrizioni farmacologiche e i regolari controlli raccomandati dalle Linee Guida nazionali e internazionali, si riducono progressivamente fino a dimezzarsi negli over 85, in cui registriamo un sostanziale sotto-trattamento fino al 40% dei casi”.

Lo dimostrano i dati dei Registri nazionali e internazionali e i risultati degli studi Real Life della SICGe, presentati in occasione del Congresso: “Solo il 12% dei pazienti under 70 ipertesi non riceve antipertensivi ma la percentuale sale al 30-40% negli over 85. Dopo sindrome coronarica, le statine hanno un “crollo” deciso, passando dal 12% di pazienti non trattati under 70 a ben il 50% degli ultra 85enni – interviene Niccolò Marchionni, vicepresidente SICGe e co-presidente del Congresso – gli antiaggreganti non vengono prescritti al 17% degli over 85 ma anche qui c’è una marcata flessione, perché nei pazienti con meno di 70 anni le mancate prescrizioni si fermano al 3%. Con l’andare degli anni si va incontro anche a una “sotto-diagnosi”: gli accertamenti per verificare la quantità del colesterolo “cattivo”, ad esempio, vengono richiesti al 26% dei pazienti con età 65-69 anni, ma appena al 7% degli over 75″.

“Questi dati mostrano una mancata o insufficiente utilizzazione, nei pazienti più anziani, di terapie e interventi che potrebbero mantenerli in salute – spiegano Boccanelli e Marchionni – “Ciò, almeno in parte, deriva dall’errata convinzione che una persona molto anziana non tragga significativi benefici dalle terapie. Non è affatto così e i farmaci appropriati si dimostrano almeno altrettanto efficaci anche negli ultra85enni. Si continua invece a pensare che non sia “conveniente”, dal punto di vista clinico ed economico, trattare bene un paziente man mano che invecchia. Invece è vero il contrario: gli anziani in forma possono essere una preziosa risorsa sociale e si stima che possano far crescere la produttività del Paese dell’1%”.

Gli studi infatti non documentano solamente il sotto-trattamento, progressivamente più rilevante all’aumentare dell’età, ma ne valutano anche le conseguenze. “Anche negli ultra85enni la mortalità dopo un anno da un infarto, ad esempio, è risultata in media del 70% inferiore nei pazienti che avevano ricevuto tutte le terapie raccomandate, rispetto a quelli non trattati in modo inadeguato” – commenta Andrea Ungar, professore di Geriatria all’Università di Firenze e co-presidente del Congresso – “Anche nei molto anziani, nei quali i farmaci vanno utilizzati con cautela per un maggior rischio di eventi avversi, la loro corretta prescrizione si rivela efficace e fornisce un contributo fondamentale per allungare la vita, migliorarne la qualità e ridurre eventi letali”.

“Il profilo generale di scarso interesse nei confronti dei bisogni di salute soprattutto dei grandi anziani indica un atteggiamento pericolosamente discriminatorio: un paziente anziano a cui non vengono prescritti farmaci ed esami può sembrare un risparmio per la collettività ma, alla fine, è vero l’opposto. I pazienti curati male si ricoverano e si ammalano molto più degli altri per cui, a lungo andare, spendiamo molto di più per rimediare a terapie e diagnosi inadeguate che per trattare come si deve chi ha bisogno delle cure, indipendentemente dalla sua età. Manca dunque una cultura che metta alla porta l’ageismo sia da parte del Servizio Sanitario Nazionale che non investe abbastanza risorse nelle cure, sia da parte degli stessi anziani che si considerano spesso ‘troppo vecchi’ per averne benefici” concludono gli esperti.