Roma, 11 dic. (askanews) – La tragedia di Corinaldo con la morte di giovanissimi all’esterno di una discoteca, ha portato alla ribalta il fenomeno dell’attrazione dei ragazzi per la musica trap. Askanews ha chiesto al sociologo Francesco D’Amato, docente di sociologia della comunicazione dei processi culturali alla Sapienza di Roma, di provare a spiegare questo fenomeno culturale e musicale adolescenziale. Perché la trap piace così tanto ai giovanissimi? “La trap non piace solo ai giovanissimi, ma l’appeal della trap su un pubblico giovanile, 14-17 anni in particolare, deriva dal fatto che i trapper offrono modelli di individualismo, superficialmente trasgressivo e disincantato, e soprattutto esibizionista, successo, soldi, moda, una messa in scena del sè, attraverso i social media. I trapper sono molto appropriati ad un certo tipo uso dei social e di comunicazione social e sono frutto di questo tipo di comunicazione”, la prima risposta. Con una postilla, che spiega ancora meglio la vasta platea di giovani fan: “La comunicazione social è parte del progetto del trapper, conta non solo la musica ma anche la creazione di stili di vita e del personaggio attraverso i social. Nascono sui social e la comunicazione social è una parte fondamentale del loro progetto comunicativo-espressivo, che non è legato solo alla musica”. E il social di elezione è “Instagram, il mezzo privilegiato, le immagini delle stories sono il veicolo di questi modelli, per questo anche in tal senso si parla di esibizionismo”.
Perché seguono la musica trap 14, 15, 16enni ma anche dodicenni? “Un certo abbassamento dell’età è, anche questo, un po’ legato alla narrazione prevalente della trap, che è emersa attraverso piattaforme come Spotify, Youtube, Instagram. Per questo arriva ad un pubblico più giovane, per il suo modo di comunicare attraverso i social, ma anche per il tipo di proposta, perché offre un modello di come comunicare in modo individualista, per farsi notare, e quella è la fase dell’età in cui si lavora per costruire un’individualità autonoma, distinta e specifica. Ci si vuole far notare – spiega il sociologo – e quello che offre il trapper è un esempio di come farci notare nel marasma di comunicazione social”, spiega il professore, ribadendo: “E’ un modello di esibizionismo, di distinzione”. Ed è a tutto tondo, non solo musica: “Lo stile di vita è parte del progetto, comprende il modo di vestirsi, il linguaggio, tutti elementi adatti ad un contesto in cui la fruizione della musica e delle immagini passa attraverso mezzi come i social”.
Ma la trap, che dopo questa triste vicenda ha sollevato venti di censura, è realmente così “pericolosa”? “Sono modelli superficiali, non solo per il tipo di proposta, ma anche per il fatto che pur senza generalizzare, molto spesso gli ascoltatori ne usufruiscono in maniera superficiale, non prendono sul serio testi e messaggi, è un divertissement. Un po’ come vedere un film trash”, però – “non vanno sminuiti alcuni aspetti problematici della reiterazione di certi temi e linguaggi, ad esempio misogini, perché noi pensiamo e concepiamo il mondo in cui viviamo e i rapporti attraverso il linguaggio a disposizione”. Ma questo – avverte il sociologo – è un problema molto più complesso e ampio, e che non riguarda solo la musica trap.
Riguardo a ciò che è accaduto al dj set di Sfera Ebbasta, il professore però è netto: non c’entra il tipo di musica. Non solo “la storia del rock è piena di episodi anche tragici”, ma questo – ovviamente – è avvenuto sempre “per problemi di sicurezza”, “non certo per il tipo di musica in sè”.