Milano, 10 set. (askanews) – Un imputato su 5, tra quelli che affrontano un processo per direttissima a Milano, presenta problemi di droga o alcolismo. Sono soprattutto giovanissimi, in condizioni difficili, che nella maggior parte dei casi commettono reati proprio per alimentare la propria tossicodipendenza. A loro è rivolto il “Protocollo operativo alla cura e riabilitazione di soggetti tossicodipendenti e alcoldipendenti sottoposti a giudizio per direttissima monocratica” rinnovato lunedì 10 settembre dal presidente del Tribunale di Milano, Roberto Bichi, e dal direttore generale dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Santi Paolo e Carlo, Marco Salmoiraghi.
Obiettivo dell’iniziativa, in vigore dal 1995, è quello di intercettare imputati con problemi di tossicodipendenza e proporre loro un percorso di riabilitazione all’interno del Serd (i servizi pubblici per le dipendenze patologiche) dell’Asst Santi Paolo e Carlo. Tradotto in pratica, tutti i giorni di udienza (ossia dal lunedì al venerdì di ogni settimana) un’assistente sociale e uno psicologo si presentano nell’aula dei processi per direttissima, al pian terreno della cittadella giudiziaria milanese, per “agganciare” i tossicodipendenti arrestati in flagranza di reato ed effettuare colloqui con loro. La relazione messa a punto dal personale medico del Serd viene poi acquisita dal giudice che, sulla base dei dati raccolti, deciderà la misura cautelare più idonea. “Il carcere non è certo il luogo più adatto per la cura delle tossicodipendenze”, ha spiegato Daniele Pavani, responsabile del Serd interno del carcere di Opera. “Al contrario – ha aggiunto – il carcere è l’ambiente dove spesso la scuola delinquenziale ha il sopravvento”.
“Nei primi 6 mesi del 2018 sono 2.100 i detenuti in cura presso Serd”, ha sottolineato il presidente del tribunale milanese Bichi. E ha precisato: “Il servizio prestato da Serd, pur nell’ambito di un doveroso percorso sanzionatorio, permette un immediato contatto per avviare tempestivamente trattamenti e cure della dipendenza per una doverosa azione riabilitativa”. Chi finisce in carcere, ha aggiunto Riccardo Gatti, direttore del Servizio Dipendenze di Milano, “deve poter ricevere cure adeguate anche in tema di dipendenze patologiche e di uso non terapeutico di sostanze psicoattive”.