Milano, 7 mag. (askanews) – Come spesso accade nel mondo del cibo e del bere, le ricette di maggior successo nascono da errori o dal bisogno di fare di necessità virtù. Lo è stato per il panettone, per il risotto alla milanese, per la tarte tatin o per il gorgonzola (stando alle leggende). Vale anche per una specialità di birra, la Ipa, la India pale ale. La sua nascita (legata più a necessità che a un errore) pare risalga all’epoca coloniale, quando gli inglesi per fare arrivare la birra ai sudditi in India senza che irrancidisse, misero a punto un sistema di luppolatura che, sfruttando le caratteristiche antiossidanti del luppolo, non ne comprometteva la qualità. Questo, chiaramente, andò ad alterare il gusto della birra che assunse un carattere decisamente più spiccato e più alcolico. Oggi le Ipa, che evidentemente all’epoca incontrarono i gusti di molti estimatori anche fuori dai confini indiani, conservano ancora questo loro carattere e continuano ad essere molto apprezzate. Lo sanno bene in casa Birra Moretti dove la famiglia si allarga proprio con l’arrivo della nuova Italian pale ale, una Ipa originale che, tuttavia, conserva un comune denominatore con tutte le altre speciali, l’accessibilità
“La birra Moretti Ipa sposa lo stile Ipa che noi abbiamo italianizzato, rendendolo adatto al gusto dei nostri connazionali – ha spiegato ad askanews Agata Zani, innovation brewmaster di Heineken Italia ovvero la mamma di questa nuova nata in casa Moretti, come del resto anche della Bianca – Secondo lo stile originario la nostra Ipa Moretti ha una luppolatura a freddo che fa sì che la birra abbia molti profumi: a seconda della varietà di luppolo che viene scelta, tutti gli oli essenziali si sprigionano al naso dando un gusto molto particolare”.
La nuova Ipa della famiglia Birra Moretti viene prodotta nello stabilimento di Comun Nuovo, in provincia si Bergamo, il più grande d’Italia e tra i più grandi d’Europa, come ci ha raccontato Giuseppe Mele, direttore del birrificio Heineken del Bergamasco. “Qui nel 2018 saremo in grado di sfiorare i 3 milioni di ettolitri di birra prodotta – ci ha detto – per un totale di 40 tipologie di birra, con packaging diversi che vanno dal fusto alla bottiglia, in diverse dimensioni. Il processo di introduzione della nuova birra, dalle prime idee iniziali fino alla produzione vera e propria ha richiesto da un anno e mezzo ai due anni di lavoro, dalla ricerca di mercato fino alla ingegnerizzazione. In particolare, per la nuova Ipa la luppolatura a freddo è stato un processo che non avevamo mai effettuato prima nel birrificio e questa è stata sicuramente l’innovazione più importante che abbiamo introdotto”.
Uno degli elementi chiave nella fase di produzione della Moretti Ipa è, infatti, proprio il dry hopping, la luppolatura a freddo, che accanto alla scelta oculata degli ingredienti, la rende subito riconoscibile all’olfatto e al palato. “Quella del dry hopping è una tecnica molto utilizzata, riscoperta in America in tempi molto recenti dai craftbrewers, i birrai artigianali, cosa che è avvenuta anche in Italia – spiega Zani – E’ una tecnica adatta a quantitativi molto piccoli perchè mettere il luppolo a freddo nella fase di maturazione o fermentazione della birra è una procedimento molto delicato. Ha richiesto un grande sforzo produttivo e di innovazione al nostro birrificio che ha produzioni molto grandi, ma d’altra parte era un percorso inevitabile se volevamo avere un prodotto coerente con il dry hopping”.
Agata Zani, che parla delle sue birre come fossero dei figli, è colei che si occupa anche della selezione delle tipologie di luppolo, che a seconda delle varietà conferiscono profumi e sentori diversi alla birra. “Il luppolo è un fiore e di conseguenza ricco di oli essenziali – ci ha detto – messo solo nella fase a caldo, quando si usa tipicamente per dare amarezza, vengono persi. Ecco perchè è essenziale una gettata nella fase a freddo che nel nostro caso avviene intorno ai 2 gradi, realmente a freddo”. La Ipa Moretti ha un processo produttivo che prevede tre gettate di luppolo, due a caldo (una in fase di bollitura del mosto e una alla fine) e l’ultima appunto a freddo: nei primi due casi le temperature elevate estraggono le sostanze amaricanti dal luppolo, conferendo alla birra il suo classico sapore amaro, nell’ultimo invece solo gli aromi propri delle varietà di luppolo scelte.
Questo si traduce al palato “in una birra dal grande carattere e un’amarezza importante, ma non esagerata – racconta Agata Zani – Molte Ipa sono amare, ma è una scelta stilistica. La nostra birra ha una amarezza non aggressiva, non pungente che si bilancia con le note del malto, che abbiamo scelto con una certa dolcezza, con note di caramello, di biscotto, di crosta di pane. Il fatto che sia una birra non filtrata poi fa sì che il lievito, che rimane in sospensione, contribuisca al sapore finale della birra. Prima di tutto però avvertiamo Ipa al naso: prima di assaggiarla veniamo investiti da questa carica olfattiva netta, tipico aroma che solo il dry hopping può dare”. E che in questo caso si traduce in note agrumate che ricordano il lime e il pompelmo, ma anche alcuni frutti tropicali.