Roma, 18 apr. (askanews) – Un poliziotto penitenziario di 31 anni della casa circondariale di Aosta – D.S., di origini sarde, sposato da pochi mesi, in forza al Gruppo Operativo Mobile della Polizia Penitenziaria e in questo periodo operativo in Sardegna – si è tolto la vita a Oristano. A dare la notizia è Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE.
“Sembra davvero non avere fine ilmal di vivereche caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria”, dice il leader del Sappe: “Tragedie che ogni volta che si ripetono determinano in tutti noi grande dolore e angoscia. E ogni volta la domanda che ci poniamo è sempre la stessa: si poteva fare qualcosa per impedire queste morti ingiuste? Si poteva intercettare il disagio che caratterizzava questi uomini e, quindi, intervenire per tempo? Siamo vicini alla moglie, al figlio, ai familiari e agli amici. Non sappiamo se vi siano correlazioni con il lavoro svolto – precisa – ma è luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette ‘professioni di aiuto’, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno, soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere”.
“L’Amministrazione Penitenziaria non può continuare a tergiversare su questa drammatica realtà”, conclude Capece: “Non si può pensare di lavarsi la coscienza istituendo un numero di telefono – peraltro di Roma! – che può essere contattato da chi, in tutta Italia, si viene a trovare in una situazione personale di particolare disagio. Servono soluzioni concrete per il contrasto del disagio lavorativo del Personale di Polizia Penitenziaria. Come anche hanno evidenziato autorevoli esperti del settore, è necessario strutturare un’apposita direzione medica della Polizia Penitenziaria, composta da medici e da psicologi impegnati a tutelare e promuovere la salute di tutti i dipendenti dell’Amministrazione Penitenziaria”.