Roma, 20 mar. (askanews) – C’è amore, passione, nostalgia, rabbia ne “La Genovese”, di Enrico Fierro, pubblicato da Editoriale Aliberti. L’autore mescola sentimenti come fossero ingredienti per cibarsi. Le sente queste sensazioni in maniera forte. Ma il bello è che le fa sentire anche a chi legge. E il libro si legge …in un boccone, per rimanere nella metafora del cibo, si divora con l’immaginazione, percorrendo con la fantasia i luoghi in cui si è portati, fatto per niente scontato, e si sentono addirittura le zaffate di fumo delle Turmac, le sigarette preferite dal protagonista, Frank Santaniello.
“I feel”, il termine anglosassone, che traduce la formula italiana “io sento”, è molto più adatto a tradurre l’intensità delle percezioni sensoriali dello scrittore, mentre si accinge a preparare questo meraviglioso cibo che sa di antico, l’unico capace di placarlo quella notte che è la sua notte e che nessuno avrebbe potuto rovinargli, mentre lentamente, quasi con venerazione religiosa si avvia verso quel viaggio che combina sapori, odori, sensazioni, umori, celebra la tradizione ed evoca la sua fanciullezza, la mamma mentre la domenica sfogliava le cipolle. “Cipolle, un chilo, Ramata di Montoro: quelle giuste. Intanto pensava alle storie che la mamma raccontava sfogliando le cipolle: “Vedi ‘a mammà: la cervella dell’uomo – ricordava – è come questa sfoglia di cipolla. Delicata, la prendi con le mani e non vale niente, si rompe. Basta poco e l’uomo esce pazzo”. Ma intanto che pensava “Diede un’ultima carezza al battuto di sedano e carote, mise in un tegame di coccio abbondante olio rigorosamente extravergine, vi adagiò il pezzo di carne e lo fece rosolare….”.
La Genovese è un piatto superbo della cucina napoletana, ci vogliono anche quattro ore per farla bene. Il cibo che evoca la cultura di un luogo prima che diventasse la cultura del cibo, la stessa differenza che c’è tra i maccheroni di Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”, che fa riaffiorare tutta la romanità e le tradizioni di un popolo, e la pizza “non pizza” di Carlo Cracco, che prevede un impasto diverso con più cereali combinati tra loro per rendere la pizza più croccante, e una salsa più densa rispetto all’originale, e che ha determinato la bocciatura dei napoletani: questa non è ‘a pizza, hanno detto in coro. Bisogna chiamare le cose con il loro nome.
Le prime tracce de La Genovese gli studiosi le avevano trovate addirittura in un antico libro del Trecento. La Genovese ripagava tutti, di sofferenze e patimenti. Ma per Frank, il protagonista del libro di Enrico Fierro, la tristezza non veniva dalle lacrime del cuore, ma dal giornalismo tradito, dall’imbarbarimento della politica, dal degrado umanitario, lui che la politica l’aveva attraversata proprio dove si fa, e ne aveva scritto di politica, proprio lui che non poteva rassegnarsi al nuovo mondo e si sentiva sconfitto, sentiva di aver perso, pensava che la sua vita era venuta proprio una chiavica. Scritto con ritmo serrato, il libro di Enrico Fierro non delude fino alla fine mentre stupisce l’eterogeneità dei personaggi, Peppino Matarazzo, lo zio Charlie, Pellegrino Diotallevi, detto Pel, Peppino Gagliardi, professore in pensione che lo invita in Calabria tra rozzezza e bellezza.