Roma, 9 gen. (askanews) – Dopo l’annuncio da parte del colosso farmaceutico Pfizer dell’abbandono degli studi sull’Alzheimer, la comunità scientifica segnala come sia ancora più importante puntare sulla prevenzione contro questa malattia che finora non ha trovato una possibile cura, un farmaco in grado di contrastare l’Alzheimer.
Attualmente ci sono 50 farmaci in sperimentazione sui malati. Nei vertici dei ministeri della salute è stato preso atto che i farmaci finora non hanno dato risultati, sono molto costosi, possono solo attenuare i sintomi per qualche mese, poi danno assuefazione e a volte possono dare pesanti effetti collaterali. Le ricerche sui farmaci, finora svolte sperimentando sui soggetti già con la malattia conclamata, stanno cambiando strategia e si vanno orientando sui soggetti a rischio, o con i sintomi lievi o moderati. Quindi anche il settore farmaceutico sta abbandonando l’idea di poter curare le persone già malate e si sta orientando sulla prevenzione farmacologica, da applicare sui soggetti a rischio, da individuare con la diagnosi precoce, prima che siano colpiti dalla malattia nella forma grave.
Molte in questo senso sono le novità scientifiche per la lotta all’Alzheimer realizzate nel 2017, tutte indirizzate alla prevenzione di questa malattia che all’inizio non da sintomi, chi è malato non lo sa, colpisce globalmente oggi 47 milioni di persone che diventeranno 135 milioni nel 2050. In Italia ci sono 1,2 milioni di dementi dei quali 800mila sono Alzheimer.
Ad esempio lo studio realizzato al Consiglio Nazionale delle Ricerche, sul protocollo Train the Brain, per tenere allenato il cervello e contrastare l’invecchiamento e le patologie, ideato dal Prof. Lamberto Maffei, che ha dato risultati positivi nell’80% dei soggetti trattati, individuati tra le persone a rischio, non ancora cadute nella malattia. Il protocollo Train the Brain, attivo presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR a Pisa, viene applicato dalla Fondazione IGEA Onlus in collaborazione con il Dipartimento di Neurologia dell’Università Sapienza di Roma al fine di renderlo disponibile per tutte le persone che possono averne bisogno.
Un secondo studio, della Commissione “Lancet” per le Demenze, ha individuato i fattori di rischio della malattia da evitare per proteggersi. Inoltre è partito il progetto Interceptor del Ministero della Salute per la diagnosi precoce a iniziare dai 50 anni, ed è stato annunciato negli USA il progetto POINTER per contrastare e prevenire la malattia. Sempre nel 2017 il problema della preoccupante crescita delle malattie neurodegenerative a livello mondiale è stato affrontato in due vertici a livello internazionale: il primo dei Capi di Stato e di Governo riuniti a maggio in Italia per il G7, il secondo a novembre a Milano dove si sono riuniti i Ministri della Salute in un vertice preceduto dalla conferenza sull’invecchiamento organizzata dall’Istituto di Ricerche Neurologiche Carlo Besta.
Lo studio Train the Brain (la Palestra della Mente) è stato pubblicato da Scientific Reports del gruppo “Nature” nel gennaio 2017, e successivamente, a luglio 2017, è stato pubblicato lo studio di “Lancet”. Entrambi gli studi, non farmacologici, hanno dimostrato che svolgere, a qualsiasi età, esercizi per mantenere la mente attiva, fare regolare attività fisica e tenere corretti stili di vita costituiscono importanti fattori di protezione contro la demenza di Alzheimer. I due studi sostengono la necessità della prevenzione su questa insidiosa patologia, che è silente, inizialmente priva di sintomi, chi è malato non lo sa. La malattia lavora lentamente per 15 – 20 anni distruggendo progressivamente i neuroni, il cervello compensa con i neuroni superstiti la mancanza di quelli colpiti, per questo non ci sono segnali ma la malattia prosegue al buio fino a quando il corredo neuronale è devastato e allora appaiono i sintomi quando non c’è più possibilità di difesa.
Il progetto Interceptor del Ministero della Salute, realizzato con l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) e con il Policlinico Gemelli, è invece mirato alla diagnosi precoce e vuole intercettare le persone a rischio di cadere nella patologia attraverso uno screening basato su test neuropsicologici e su biomarcatori. Sarà esaminata una parte della popolazione considerata a rischio, di età compresa tra 50 e 85 anni, per avere una stima di quanti saranno i futuri malati che potranno avere bisogno delle nuove medicine se e quando saranno disponibili.
Nella pubblicazione della Commissione Lancet per le Demenze è stato valutato che si può ridurre del 35% il rischio di cadere nella demenza adottando, a qualsiasi età, corretti stili di vita in grado di contrastare i fattori di rischio, che Lancet individua in nove categorie. Tra queste ci sono proprio l’inattività fisica e la scarsa attività mentale. Tra gli altri fattori di rischio elencati da Lancet figurano: un basso livello di istruzione, l’isolamento sociale, l’obesità, la sedentarietà, alcune patologie se trascurate come il diabete, l’ipertensione e la depressione. Importanti fattori di rischio sono anche il fumo, l’alcol, la cattiva o eccessiva alimentazione. Controllare questi fattori di rischio nei nostri comportamenti quotidiani costituisce una forma di prevenzione che può assicurare una più sana prosecuzione della vita in età avanzata.