Roma, 11 dic. (askanews) – Esiste una correlazione lineare e inevitabile se non riconosciuta e trattata tra perdita di massa muscolare, malnutrizione e cachessia. Una serie di eventi i cui effetti si sommano in termini di gravità come una valanga. La malnutrizione è una condizione praticamente ‘epidemica’ nella popolazione anziana con malattie croniche e negli ultimi anni gli esperti ne hanno calcolato gli effetti in termini di comorbidità (ossia la presenza di patologie concomitanti collegate alla prima), rischio aumentato di ricoveri ospedalieri e mortalità evitabile.
“I pazienti a cui dobbiamo prestare attenzione sin dalle prime fasi di malattia sono affetti da problemi renali, bronco-pneumopatia cronico ostruttiva (BPCO), sono reduci da fratture e da eventi cardiaci acuti o cronici” ha dichiarato il Professor Maurizio Muscaritoli, Presidente SINuC (Società Italiana di Nutrizione Clinica), in qualità di chairman italiano alla Conferenza internazionale sulla sarcopenia, “ma dobbiamo iniziare a considerare alla fragilità e alla perdita di massa muscolare come ad una patologia e non solo come un fattore di rischio. Tanto che negli Stati Uniti proprio alla sarcopenia è stato attribuito un codice nell’ICD9 il manuale diagnostico internazionale che riporta in modo sistematico e secondo precise regole d’uso, la nomenclatura delle diagnosi, dei traumatismi, degli interventi chirurgici e delle procedure diagnostiche e terapeutiche e in Europa il 15-35% della popolazione sopra ai 75 anni ha bisogno di qualche forma di assistenza per svolgere le attività quotidiane”.
Una prevalenza particolarmente alta è stata riscontrata nei soggetti con patologie cardiache: “Si tratta di una condizione frequente” aggiunge Stephan von Haeling, del Dipartimento di Cardiologia e Pneumologia dell’Università tedesca di Gottingen “con una prevalenza che va dal 20 al 50% nei pazienti con insufficienza cardiaca con una percentuale significativa nei soggetti con diagnosi di cardiomiopatia dilatativa. La perdita di muscolo mostra un andamento a cascata che può progredire sino alla cachessia, una sindrome da deperimento con perdita di peso, atrofia muscolare, stanchezza, debolezza e significativa perdita di appetito”.
Non sono migliori le prospettive di coloro che hanno subito un ictus: dati presentati alla conferenza di Roma hanno evidenziato come il 20% dei pazienti sviluppi una sindrome da deperimento entro un anno dall’evento acuto “buona parte della disabilità conseguenza di un ictus è causata dalla perdita di innervazione del tessuto muscolare che si combina con l’immobilità del paziente, uno stato infiammatorio, spasticità e ad un meccanismo di mancanza di controllo dei riflessi che porta ad una atrofia muscolare e alla degradazione del tessuto” spiega il professor Muscaritoli “eppure non esistono linee guida che tengano conto di questo fattore nella terapia o nella riabilitazione della malattia”.
Ma non si tratta di una condizione irreversibile, la notizia viene da uno studio italiano su oltre 8mila persone tra i 18 e i 98 anni sottoposti a quello che è stato chiamato Longevity Check up e di cui riferisce il Professor Francesco Landi, Responsabile della UOC di Riabilitazione Geriatrica al Policlinico Gemelli di Roma: “La cattiva notizia è che al compimento del cinquantesimo compleanno si verifica una sorta di ‘scalino’ ripido verso l’invecchiamento. Con una diminuzione significativa della massa muscolare (valutata con la misurazione della circonferenza del polpaccio) che diminuisce tra i 10 e il 20%, che si accompagna ad una diminuzione della forza di circa il 60% (misurata al dinamometro) e ad un crollo di circa l’80% nella performance motoria misurata con un test che prevede di alzarsi e sedersi 5 volte senza aiutarsi con le braccia e valutando la velocità. La notizia positiva è che l’invecchiamento non è inesorabile e questi deficit possono essere efficacemente compensati. Il segreto è il movimento: abbiamo osservato che un 70enne sedentario presenta le stesse performance muscolari di un 80enne abituato a camminare regolarmente (con un guadagno netto quindi di dieci anni). Ma ancora più sorprendente è stato osservare che un 80enne attivo con una attività regolare che preveda attività aerobica e di resistenza ha le stesse prestazioni di un 50enne inattivo”.