Fumo: col costo di 100 pacchetti si potrebbe salvare una vita

E' vera e propria dipendenza: chi cerca di smettere lasciato solo

NOV 17, 2017 -

Milano, 17 nov. (askanews) – Il fumo non è una cattiva abitudine ma una vera e propria dipendenza e cioè una patologia che, in quanto tale, può e deve essere curata. Oggi la chiarezza dei dati scientifici si scontra ancora con l’idea che il fumo di tabacco sia un problema risolvibile con la sola “buona volontà” e che per questo non abbia bisogno di trattamenti e servizi di assistenza e cura. “Abbandonare la sigaretta” è un percorso lungo, complesso e quasi sempre solitario. Tra i fumatori che hanno provato a smettere più di 3 volte, infatti, il 56% si sente spesso solo e senza punti di riferimento, il 44% non si sente sufficientemente informato, il 40% non conosce i Centri Antifumo, l’84% non si rivolge ai professionisti e il 57% non usa prodotti di supporto. Non solo. I fumatori che stanno cercando di smettere, i cosiddetti ‘work in progress’, incontrano nell’86% dei casi molti ostacoli e difficoltà.

Sono questi i dati più significativi che emergono da una ricerca condotta da GfK-Italia e commissionata da Pfizer su “Gli Italiani e la disassuefazione dal fumo: logiche e percorsi degli ex fumatori e di chi sta cercando di smettere” presentata per la prima volta in occasione del XIII Congresso Nazionale SITAB – Società Italiana di Tabaccologia (Bologna, 16-17 novembre 2017).

“Il fumo di tabacco è la prima causa di morte evitabile in occidente, ma le cure per affrontarlo rappresentano l’ultima voce negli investimenti nel nostro sistema sanitario. Il paradosso è tutto qui. In quanto dipendenza, il tabagismo costituisce una patologia che può beneficiare di trattamenti validati sul piano scientifico e che può essere risolta definitivamente”. I servizi per il tabagismo oggi in Italia sono circa 400, ancora troppo pochi per intervenire sui quasi 11 milioni di fumatori e soprattutto poco considerati sul piano istituzionale. Ma al di là della necessità di implementarne il numero, la criticità più importante risiede nella scarsa conoscenza dell’esistenza dei Centri Antifumo sia da parte dei pazienti, ma anche da parte degli operatori sanitari come i medici di medicina generale e i medici ospedalieri. “Smettere di fumare da soli risulta essere ancora il metodo più diffuso, ma anche il meno efficace, con un esito dell’1-3% di successo a distanza di un anno; mentre è dimostrato scientificamente che i trattamenti validati sono in grado anche di decuplicare le percentuali di successo – spiega Biagio Tinghino presidente della Società Italiana di Tabaccologia -. L’altro problema è quello di quanto gli operatori della salute credono veramente a ciò che dicono e fanno ciò che credono. Basti pensare che in Italia circa il 33% dei Medici di Famiglia fuma, dato ben al di sopra della media della popolazione generale, a differenza per esempio di altri Paesi come gli stati Uniti e l’Inghilterra dove la percentuale si ferma al 4%”.

Gli interventi per aiutare i pazienti a smettere di fumare hanno un elevato rapporto di costo/efficacia e lo slogan “100 pacchetti per salvare una vita’ lanciato quest’anno in occasione del congresso SITAB ha l’obiettivo di far passare proprio questo messaggio: “Far smettere di fumare le persone sarebbe un ottimo investimento per la sanità pubblica, visto il risparmio che se ne ricaverebbe – precisa Tinghino -. A conti fatti, incluse le prestazioni sanitarie, un programma per smettere di fumare costerebbe meno di 500 euro a paziente, ma il guadagno di salute non avrebbe prezzo, dal momento che la “smoking cessation” potrebbe restituire dai 3 ai 9 anni di vita, se effettuata prima dei 50 anni. Di contro, però, basterebbe un solo ricovero per sforare questa cifra, senza considerare l’enorme impatto dei costi sanitari legati alle patologie fumo-correlate come quelle tumorali, cardiovascolari e respiratorie”.

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