Milano, 11 lug. (askanews) – Per Ezio Denti, uno dei consulenti del pool difensivo di Massimo Giuseppe Bossetti nel processo di secondo grado per l’omicidio di Yara Gambirasio, la foto satellitare prodotta dalla difesa secondo la quale il corpo della ragazza, un mese prima del ritrovamento, non si trovava sul campo di Chignolo d’Isola “ce l’aveva anche la Procura”. Lo ha detto ai microfoni di “Legge o Giustizia” con Matteo Torrioli su Radio Cusano Campus per commentare il processo d’appello al muratore di Mapello. “Li abbiamo stuzzicati e colpiti nel fianco. Guarda caso, dopo la pausa della prima parte dell’udienza, sono entrati con le stesse foto in mano. Quella foto la Procura l’aveva e non ne ha mai parlato. Credo che qualcosa sia stato nascosto” ha aggiunto.
“Non voglio fare allusioni. Perché, però, non ci hanno mai messo nelle condizioni di lavorare ad armi pari? Perché non abbiamo potuto visionare reperti, telecamere e documentazioni? Qualcosa non quadra e gli italiani se lo stanno chiedendo. Abbiamo un uomo in galera che non c’entra nulla. Bossetti non ha nulla a che fare con questo omicidio, lo dicono le carte” ha continuato.
Denti ha parlato anche di Silvia Brena, insegnante di Yara Gambirasio. “La figura della Brena, indipendentemente dalle responsabilità che può avere, non è stata presa in considerazione. Per questo mi sono sempre concentrato sul delitto in ambito giovanile. Quel Dna della Brena è chiarissimo sulla manica di Yara. Non è stata presa in considerazione perché la Brena dichiarò che si trovava a Ponte San Pietro e che il fratello era andata a prenderla. Quest’ultimo invece non si era mai mosso da dove era. La Procura intervenne con le intercettazioni ambientali, ma non estrapolando due sms tra la Brena e il fratello che poi sono risultati cancellati”.
Secondo Denti gli avvocati di Bossetti stanno facendo un gran lavoro, riuscendo anche a contattare il luminare Peter Gill, un punto di riferimento in genetica forense : “Siamo riusciti a dimostrare quante balle sono state dette. Gill è un grande luminare. Noi siamo stati bravi a chiedergli un parere. Ha detto una cosa interessante. È impensabile, indipendentemente dalle anomalie riscontrate, che quelle tracce possano resistere dopo cinque o sei settimane su un tessuto o un corpo esposto alle intemperie” ha concluso.