Milano, 23 set. (askanews) – Lo abbiamo conosciuto per i suoi progetti curatoriali intensi, con artisti importanti come Regina José Galindo, oppure con tematiche sociali forti, come nel caso delle violenze sugli omosessuali in Unione Sovietica. Dopo un giro del mondo, anch’esso piuttosto intrigante, da Perth in Australia fino a Bogotà in Colombia, ora Eugenio Viola è stato chiamato da Franceschini a curare il Padiglione Italia alla Biennale d’arte del prossimo anno, diretta da Cecilia Alemani.
“Fondamentalmente io sono per un approccio impegnato alla curatela – ha detto Viola ad askanews – non mi occupo di politica perché non è il mio mestiere; non sono un attivista. Potrei dire, come sostiene Tania Bruguera, che sono un ‘artivista’, nel senso che riesco a portare un discorso coerente nel mio lavoro attraverso i progetti che presento. Non necessariamente voglio mostrare un punto di vista o prendere una posizione, anche se la posizione magari si può leggere tra le righe di quello che presento. Preferisco che sia sempre il visitatore a farsi un suo punto di vista”.
Attraversare le mostre concepite da Eugenio Viola significa spesso immergersi nel lavoro degli artisti, anche a costo di dover affrontare dei passaggi scomodi, complessi, in molti casi pure dolorosi. Ma che alla fine sono strade per ampliare le proprie esperienze e guardare alla luce di nuovi elementi alle proprie opinioni.
“Io credo che un progetto – ha aggiunto il curatore – sia sempre riuscito quando le persone che vengono a vederlo vanno via con più domande che risposte. Quando succede così significa che il progetto funziona. Considero inoltre tutti i progetti che ho curato negli ultimi dieci anni come una serie di saggi visivi, capitoli di una stessa storia che si sta scrivendo”.
E che in qualche modo vede nel progetto con con Gian Maria Tosatti per il Padiglione Italia una sorta di culmine.