Roma, 6 lug. (askanews) – La scoperta nel 2012 al Cern di Ginevra del bosone di Higgs, la particella portatrice del cosiddetto campo di Higgs che si suppone permeare l’Universo conferendo massa a tutte le particelle, ha rappresentato la conferma della validità del Modello Standard, la teoria di riferimento della fisica delle particelle, e allo stesso tempo ha lasciato intravedere la possibilità di una nuova fisica.
Il bosone di Higgs ha ancora molto da dire, per questo il suo studio rappresenta uno degli obiettivi primari dell’aggiornamento della strategia europea per la ricerca nell’ambito della fisica delle particelle, comunicata di recente dal consiglio del Cern, il più importante laboratorio del settore – in cui lavorano moltissimi scienziati del nostro Paese che è tra i fondatori del laboratorio al confine tra Francia e Svizzera – dove grazie al Large Hadron Collider (LHC), l’acceleratore di particelle situato in un tunnel sotterraneo circolare lungo 27 Km, il bosone di Higgs è stato scoperto. Una strategia definita da Fabiola Gianotti, prima donna direttore generale del Cern al suo secondo mandato, ‘ambiziosa, che delinea un futuro molto promettente per l’Europa e per il CERN con un approccio attento e graduale. Continueremo a investire in forti programmi di cooperazione tra il CERN e gli altri istituti di ricerca negli Stati membri del CERN, e non solo’.
L’Italia, forte del suo prestigio in questo settore di ricerca, sarà parte attiva anche di questa strategia, come sottolinea il prof. Antonio Zoccoli, presidente dell’INFN Istituto nazionale di fisica nucleare, ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Bologna: ‘L’Italia ha un ruolo di primo piano, la scuola italiana è tra le migliori al mondo. I nostri scienziati che lavorano al Cern ricoprono posizioni di primo piano e questo ha una valenza molto importante per noi, per l’Italia e per l’industria. Perché tutte queste ricerche hanno non solo una valenza scientifica ma tecnologica, quindi con importanti ricadute economiche’.
Quali sono gli obiettivi scientifici della strategia europea per la ricerca nella fisica delle particelle? ‘L’obiettivo scientifico ovviamente – spiega il presidente dell’INFN ad askanews – è quello di esplorare nuovi orizzonti nel nostro campo di ricerca. Abbiamo il Modello Standard che descrive abbastanza bene i fenomeni che avvengono in natura nell’ambito subnucleare e, nell’ambito di questo modello, c’è stata la scoperta del bosone di Higgs nel 2012, che è una pietra miliare perché ha confermato la validità del modello ma ci ha aperto anche nuove strade’. ‘Quindi – prosegue Zoccoli – da una parte quello che vogliamo fare, a medio termine, è studiare a fondo le proprietà del bosone di Higgs e questo si riflette in uno degli obiettivi individuati nel documento: creare un collider in cui studiare le sue proprietà ; e dall’altra è esplorare la validità di questo modello ad alte energie. Da questo modello noi abbiamo delle misure che ci dicono che alcune cose non funzionano, questo modello ha dei limiti, sappiamo che ci deve essere della nuova fisica ad alte energie. Quindi la nostra idea è di costruire una macchina adronica, cioè in cui si accelerano e fanno scontrare protoni come avviene in LHC, alle frontiere delle energie per esplorare questa nuova fisica, per provarla sperimentalmente’.
Intanto al Cern si lavora all’Hi-Lumi LHC (High-Luminosity Large Hadron Collider), il potenziamento del Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle che ha consentito la scoperta della particella di Higgs. Quando sarà completato? ‘Già deliberato dal Cern, approvato da tutte le funding agencies, dovrebbe entrare in funzione nel 2027. I vari gruppi sperimentali stanno costruendo e migliorando gli apparati sperimentali, il Cern ha iniziato tutti i lavori necessari per raggiungere le performance che l’acceleratore dovrà avere nel 2027. C’è stato un leggero ritardo per la pandemia, ma nulla di preoccupante’.
Lo studio delle particelle e delle loro interazioni, le ricerche condotte in un laboratorio come il Cern servono certamente a far progredire le conoscenza ma che impatto hanno sulla società ? Quali benefici portano? ‘Direi che sono principalmente quattro gli aspetti della ricerca scientifica di base che riverberano sulla società . Primo, la nuova conoscenza. Facciamo una scoperta, che magari non era neanche prevista, e che ha un’immediata applicazione nella scienza. Un esempio chiarissimo è la scoperta da parte di Marie Curie dei raggi X alla fine dell’Ottocento: in breve tempo i raggi X furono usati sia per le radiografie che per curare i tumori. Il bosone di Higgs è una scoperta analoga il cui impatto però è difficile prevedere ora, verrà fuori nel tempo. Secondo, la preparazione delle persone. Persone che vengono preparate ad affrontare la complessità e a far fronte a crisi e situazioni imprevedibili. Questo consente loro di sviluppare un approccio e delle competenze tali da riuscire a portare il proprio contributo in contesti anche molto diversi, anche nelle crisi che il mondo vive per esempio, come è accaduto ora nel corso della pandemia. Terzo, le nuove tecnologie. La ricerca di base porta a sviluppare nuove tecnologie che poi hanno un impatto diretto sulla società . Ad esempio, al Cern sono stati sviluppati i magneti superconduttori per LHC. La tecnologia dei magneti superconduttori è quella che oggi ci consente di fare risonanze magnetiche con strumenti di ultima generazione. Quarto, creare metodi innovativi, metodologie che innovano il modo di sfruttare le tecnologie. Il World Wide Web, nato e sviluppato al Cern, ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare, portando alla diffusione di internet, alla trasmissione veloce di informazioni e anche alla nascita di un nuovo mercato che ha assunto un peso crescente sull’economia. Noi che facciamo ricerca – osserva Zoccoli – ci auguriamo sempre di fare scoperte, magari che non avevamo previsto, che non ci aspettavamo e che riescono a cambiare il modo di vedere la natura e il modo in cui sfruttare queste proprietà della natura’.
Lei ha parlato della preparazione delle persone ad affrontare la complessità e le crisi che il mondo vive, come la pandemia di Covid-19. Che impatto ha avuto la diffusione del coronavirus sull’INFN? ‘Un impatto c’è stato, come per tutti, ma abbiamo seguito una linea molto chiara, partendo da una priorità : garantire la salute e la sicurezza delle persone che lavorano con noi. Per questo abbiamo subito messo in lavoro agile circa il 95% del personale, senza però mai chiudere l’Istituto. In tutte le nostre strutture – sottolinea il presidente dell’INFN – c’è sempre stato del personale che a rotazione ha mantenuto operativi tutti i servizi essenziali: dai sistemi di calcolo ai laboratori, alla criogenia, alle macchine che non potevano essere fermate. Quindi tutti i nostri uffici, da remoto o di persona, sono rimasti aperti. Questo perché volevamo dare anche un segnale alla società . E’ importante che un ente come l’INFN non chiuda ma affronti la crisi, nel modo più sicuro possibile, ma la affronti’.
‘E poi – prosegue Zoccoli – abbiamo avuto una serie di ricercatori e tecnici che si sono impegnati in prima persona per contrastare la pandemia, utilizzando al meglio le competenze e le tecnologie dell’Infn. Ad esempio abbiamo messo a disposizione le nostre risorse di calcolo a una società (Sibylla Biotech, spin-off dell’INFN e delle università di Trento e Perugia, ndr) impegnata a capire quali erano le molecole che potevano inibire l’ingresso del coronavirus nell’organismo. Studio che ha dato dei risultati interessanti, ora queste molecole, individuate a livello teorico, vengono testate in laboratorio e ci auguriamo un risultato positivo. Altri gruppi hanno sviluppato un ventilatore per le rianimazioni, basato su un design semplice e su componenti di ampia reperibilità sul mercato in modo da poter essere replicato facilmente e a basso costo, che ad esempio può essere utilizzato nei paesi in via di sviluppo; un altro gruppo ha costituito un laboratorio per testare materiali impermeabili al virus per tute, mascherine e altri sistemi di protezione; un altro si è occupato dell’analisi dei dati per elaborare interpretazioni sull’evoluzione della pandemia. Quindi ci sono state tutta una serie di attività che sono state portate avanti e che hanno dato risultati interessanti’.
‘Poi, finita la fase uno, pian piano abbiamo cominciato a riportare al lavoro il nostro personale, come è nostro dovere. Senza mai tralasciare la sicurezza – conclude il presidente dell’INFN – dobbiamo far ripartire a pieno ritmo la ricerca, riprendendo in mano tutti i progetti rallentati durante la pandemia. E’ un nostro dovere. E’ il nostro modo per contribuire alla ripresa del Paese’.