Roma, 11 mag. (askanews) – Il 2020 passerà alla storia senza dubbio come l’annus horribilis per la ristorazione (e non solo): secondo il rapporto 2021 dell’Osservatorio Ristorazione, spin-off dell’agenzia RistoratoreTop, nel 2020 hanno chiuso i battenti 22.692 imprese del settore, mentre ne sono state avviate appena 9.207, il dato più basso degli ultimi 10 anni.
Nell’anno del Covid la ristorazione ha perso circa il 40% del volume di fatturato registrato nel 2019, anno dei record per la spesa alimentare fuori casa (quando si era registrato un fatturato di 86 miliardi euro). Record di chiusure per Roma, con 1.518 attività che non riapriranno, seguita da Milano (-722) e Torino (-549), ma quella che ha registrato l’incremento maggiore di locali scomparsi rispetto all’anno precedente è Firenze, con un +87% di locali chiusi rispetto ai dati 2019.
Il 2020 è anche l’anno che ha registrato il numero più alto di sempre di attività registrate, 397.700 di cui attive 340.564, aspetto determinato dalle numerose variazioni di codice ATECO; ha visto il 77% dei locali lavorare con le consegne a domicilio, prevalentemente con propria flotta di rider, e il 27% degli imprenditori del settore avviare una dark kitchen oppure un brand virtuale per far fronte alle chiusure forzate.
Tra le cose positive di questo anno da dimenticare, la spinta a intraprendere in pochi mesi una capillare innovazione tecnologica delle modalità sia di preparazione e distribuzione del cibo, sia di scelta e fruizione. Dalle cotture sous vide e a basse temperature, all’introduzione di prodotti semi-pronti o semi-lavorati da centri di cottura e laboratori esterni, ai forni elettrici per ultimare la cottura o mantenere la temperatura durante il trasporto. Inoltre, stati introdotti su larga scala: menu digitali, sistemi di prenotazione online, self-ordering, chiamata del personale di sala a distanza con appositi dispositivi, nuove applicazioni per gestire turni del personale, fatturazione e rapporti con i fornitori, pagamenti cashless al tavolo e in cassa.
Il rapporto è stato realizzato elaborando dati provenienti da diverse fonti, tra le quali gli istituti di ricerca ISTAT e Censis, le associazioni di categoria FIPE, Coldiretti e Federalberghi, le banche dati di Infocamere e della web app Plateform.
Come è noto, per ampi tratti del 2020 le uniche forme di fatturato possibile sono state il delivery e il take away, con il conseguente proliferare di dark, grey, ghost e cloud kitchen, cucine non aperte al pubblico. Secondo una ricerca di RistoratoreTop, nel 2020 il 77% dei locali ha deciso di intraprendere la strada del delivery e dell’asporto, mentre il resto degli intervistati ha preferito lasciare chiusi i battenti.
Il 43% degli intervistati ha dichiarato di fare delivery direttamente, con propria flotta di rider, il 3% di affidarsi unicamente a piattaforme esterne, mentre il 9% di utilizzare entrambe le modalità, il restante 45% raccoglieva indecisi e ristoratori che non hanno percorso la strada del delivery.
Durante i mesi di chiusura, infine, il 27% dei ristoratori ha creato in periodo di pandemia una dark kitchen oppure un brand virtuale, anche impiegato nella produzione di cibi differenti da quelli prodotti abitualmente. Il 10% degli intervistati ha affermato di voler mantenere il delivery o la dark kitchen anche dopo le riaperture a pieno regime.
Rispetto al delivery, ad esempio, la piattaforma per la digitalizzazione dei ristoranti Plateform ha effettuato una ricerca tra i clienti di oltre 600 attività distribuite nei maggiori centri urbani italiani per analizzare i meccanismi di scelta del ristorante da cui ordinare: il web, tra social network e motori di ricerca (Facebook 27,66%, Instagram 9,75%, Google 7,77%), supera il tradizionale passaparola, che si attesta sul 24,09% dei casi. Il 20,75% ha dichiarato di essere già cliente, il resto di aver scoperto il ristorante tramite altre fonti. Dati quasi sovrapponibili sono emersi anche rispetto all’asporto.
Secondo l’Osservatorio Ristorazione, tra i trend consolidati in Italia nel 2020, spiccano la crescita dei locali “accessible cool”, ovvero ristoranti accessibili ai più, ma vissuti dagli utenti come tendenti al lusso grazie ad un importante lavoro sull’immagine e sulla qualità percepita, e la diffusione di cibi etnici o forme di fruizione dei pasti “all-in-one”, ovvero piatti unici accompagnati al massimo da uno starter e da un contorno, dalla forte impronta internazionale.
In questa categoria, hanno spiccato i cibi che vanno consumati freddi e che quindi non si alternano durante il delivery, come i sushi e il poke, e i burger, percepiti come comfort food. Tra i trend in via esplosione nel 2021, invece, è prevista l’ascesa dei locali “accessible convenience”, accessibili a chiunque, dal buon rapporto qualità-prezzo per il consumatore ma dalla tendenzialmente bassa marginalità per il ristoratore, che tenderà a lavorare più sulla quantità di scontrini battuti piuttosto che sul loro valore medio.
Apa/Pie