Vino, l’Oltrepò Pavese guarda al futuro puntando sulla qualità

Intervista a Gilda Fugazza e Carlo Veronese che guidano il Consorzio

GEN 12, 2023 -

Milano, 12 gen. (askanews) – Un triangolo a Sud del fiume Po, racchiuso tra la provincia di Piacenza e quella di Alessandria, grande poco meno di millecento chilometri quadrati di superficie, di cui 440 di dolci colline, attraversate dalla storica “Via del sale” che porta fino al vicino mare ligure. E’ l’Oltrepò Pavese, un territorio vasto quanto variegato che conta oggi 13mila ettari vitati, dai quali si ricavano ogni anno 75 milioni di bottiglie tra Igt, sei Doc (Bonarda, Buttafuoco, Pinot Grigio, Pinot Nero vinificato in rosso, Sangue di Giuda, Casteggio) e una preziosa Docg: il Pinot Nero Metodo Classico, un fiore all’occhiello che anno dopo anno cresce in qualità, fama e vendite (553mila bottiglie nel 2021, +23% sul 2020). Terra di vino da sempre, in questa porzione di Appennino nella provincia di Pavia si produce il 65% del vino lombardo, e forse, ancora più che nel resto d’Italia, qui di strada negli ultimi anni i produttori ne hanno fatta tanta, con un livello medio che è cresciuto tantissimo e punte di indiscussa qualità, come testimoniano tutte le guide del settore. Nonostante questo e la lunga storia alle spalle, l’Oltrepò deve ancora lavorare per farsi conoscere, basti pensare che la media dell’export non arriva al 10% (nonostante ci siano alcune aziende che toccano il 90%) e che la presenza delle sue referenze nell’horeca è minima, malgrado, ad esempio, Milano sia ad appena un’ora di auto. Del presente e del futuro dell’Oltrepò, askanews ne ha parlato con i vertici del locale Consorzio tutela vini, fondato nel lontano 1961 e “istituzionalizzato” nel 1977, che oggi conta 160 aziende associate che rappresentano oltre il 66% di tutte le Denominazioni. “Questo è un territorio molto variegato dove il core-business è il vino, con interi paesi dove chi non produce vende le bottiglie, e chi non raccoglie l’uva commercializza prodotti e attrezzature: qui la filiera completa interessa oltre 1.300 aziende” spiega il direttore del Consorzio, Carlo Veronese, sottolineando che “quindi è estremamente importante una scelta oculata di gestione del territorio perché qui il vino non è solo la bottiglia ma l’aspetto sociale”. Nel Consorzio la realtà più grande è Terre d’Oltrepò, che con circa 800 soci conferitori che vinificano più o meno l’uva di cinquemila ettari, è la Cooperativa più grande della Lombardia: tra loro, c’è anche lo storico e pionieristico polo spumantistico La Versa (1905). La più piccola Cantina aderente al Consorzio è invece probabilmente quella del vignaiolo indipendente Alessio Brandolini a San Damiano al Colle, mentre tra le nuove aziende c’è quella della famiglia piemontese Cordero, che nel 2019 ha comprato la cantina San Giorgio a Santa Giulietta. Tra gli imbottigliatori non si può invece dimenticare una realtà importante come Losito e Guarini. “Fino a dieci anni fa questo territorio puntava ad essere il leader europeo del vino sfuso, lo facevano praticamente tutti offrendo un buon prodotto e infatti gli è andato bene per anni fino a quando il sistema è andato in crisi nei grandi numeri” ricorda Veronese, aggiungendo che “ora le aziende devono recuperare quel gap maturato con chi, in altre zone di Italia, aveva puntato prima sulle bottiglie”. “Oggi qui è raro trovare un vino che non sia ‘buono’, il limite sta piuttosto nella capacità delle Cantine di capire quali sono gli sbocchi di mercato giusti per ogni tipologia e di muoversi per promuoverlo” afferma la presidente del Consorzio, Gilda Fugazza (appena entrata nel Comitato direttivo di enologia dell’Università agraria di Milano), sottolineando che “dalle difficoltà siamo riusciti a rinascere, riuscendo più che in passato a fare squadra, capendo che il territorio cresce se crescono tutti i suoi settori, dall’enoturismo al cibo, dalle strade del vino alla ricezione”. “Oggi l’Oltrepò è sui radar a differenza di quanto non fosse anni fa quando a Bordeaux per spiegare dove fosse, mi capitò di dover dire ‘it’s in North of Tuscany’ (è a Nord della Toscana, ndr) – chiosa Fugazza – ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo andare in giro a raccontare e a far conoscere tutti i nostri vini, quelli figli dei vitigni autoctoni e quelli dei vitigni internazionali”. La scommessa è dunque quella di trasformare una complessità rappresentata da un territorio dove tutti producono tutto dappertutto, in un punto di forza: un portfolio diversificato per importatori e distributori che unisce vini gastronomici e facili da abbinare, ad altri più “rustici” e “pop” ma molto caratteristici. Qui il ventaglio è enorme: dai rossi dolci frizzanti di facile beva ai bianchi raffinati, dai rossi vivaci e freschi ai fermi importanti, fino alle bolle charmat o metodo classico. “Il gioco è fare prodotti sempre più buoni in modo da poterli promuovere e trovare una collocazione di mercato per tutti, siano Cantine private o cooperative, se serve anche aiutando queste ultime che comunque stanno facendo uno sforzo in un’ottica commerciale sul modello privato” sintetizza Veronese, ricordando che “nello stesso tempo bisogna dare la giusta remunerazione al vino sfuso e all’uva, perché quello che arriva agli agricoltori è troppo poco e quindi mette in crisi il sistema”. Insomma non si può pensare ad un Oltrepò che punti esclusivamente sul Pinot Nero di cui possiede il più esteso vigneto d’Italia che rappresenta la terza area produttiva mondiale, malgrado le soddisfazioni maggiori vengano proprio da questo straordinario vitigno, tanto fragile quanto incostante che qui ha uno dei suoi territori di elezione fuori dalla Borgogna. Le sue riserve e il suo Metodo Champenoise (creato nel 1865 dal Conte Giorgi di Vistarino), che oggi ha un potenziale Docg di circa due milioni di bottiglie, sono punti fermi da cui partire. Così come lo è il Riesling oramai già pluripremiato nelle sue varianti ma ancora con grandi margini di crescita commerciale. E il Consorzio punta proprio sulla promozione in Italia e soprattutto all’estero. “Negli Usa impazziscono per il Sangue di Giuda, ed è una chiave per proporgli anche gli altri nostri prodotti ma dobbiamo riuscire a venderlo bene, in modo da poter remunerare quell’uva facendo in modo che i produttori possano poi investire esclusivamente su quella” precisa la presidente, sottolineando che “l’Oltrepò ha capito che bisogna puntare su vini più giovani e freschi rispetto a quelli che si facevano nel passato, perché più facili da abbinare e da proporre per i diversi momenti di socialità”. Sempre nell’ottica della qualità, nel dicembre scorso l’assemblea dei soci spumantisti del Consorzio ha approvato importanti modifiche del Disciplinare: viene alzata dal 70 all’85% la percentuale di Pinot Nero, viene introdotta la raccolta manuale delle uve, creata la tipologia “Riserva” con almeno 48 mesi di permanenza sui lieviti e permessa la commercializzazione dopo due mesi dalla sboccatura, oltre ad essere semplificata la denominazione in “Oltrepò Docg Metodo Classico”. “E’ un grosso cambiamento che arriva a compimento di un lavoro iniziato qualche anno fa sul territorio” spiega il direttore del Consorzio, “perché anche se molti produttori fanno già tutto ‘in purezza’ e invecchiano ben oltre quel periodo, serviva metterlo nero su bianco per creare due tipologie, un base e un Riserva, fatto che, tra l’altro, permetterà di aumentare il prezzo”. “Altra cosa interessante, già approvata dall’assemblea, è l’allargamento della zona verso Comuni più alti: oggi ci fermiamo a circa 550 metri dove opera la Cantina biologica Torre degli Alberi, ma qui abbiamo la fortuna che dopo la media collina, c’é quella alta e poi la montagna” aggiungono Veronese e Fugazza, evidenziando che “questo significa anche valorizzare i Comuni di montagna, una novità assoluta che risponde anche alle mutate esigenze imposte dal cambiamento climatico”.