Roma, 31 mag. – Buongiorno e benvenuti su Askanews EU Verified Series Dopo la serie dello scorso anno, in cui abbiamo intervistato i membri del Parlamento europeo sul Piano per combattere il cancro, quest’anno vogliamo concentrarci su altri ambiziosi piani dell’Unione Europea, come il programma EU4Health. In questa seconda tornata di interviste discuteremo le priorità della Commissione Ambiente e Salute del Parlamento europeo nel 2022, le lezioni apprese dalla pandemia, le sfide che l’Europa deve affrontare in ambito sanitario e l’attuazione del Piano per combattere il cancro. Sono Lorenzo Peiroleri, giornalista di Askanews e ho il piacere di condurre la prima intervista con la nostra ospite Sara Cerdas del Partito Socialista Europeo. Benvenuta Dottoressa Cerdas e grazie per essere qui con noi oggi. D. Vorrei iniziare l’intervista ripartendo dal Piano per combattere il cancro: lei è stata vicepresidente della commissione BECA e una voce di primo piano della lotta contro il cancro, è soddisfatta del Piano adottato in plenaria lo scorso febbraio? R. Il piano approvato in plenaria lo scorso febbraio è un piano piuttosto ambizioso. È la posizione del Parlamento nella lotta contro il cancro e rispetto a tutti e quattro i diversi pilastri che vogliamo affrontare: prevenzione, diagnosi precoce, accessibilità alle cure e qualità della vita dei sopravvissuti, ma anche dei pazienti e delle famiglie. Questo è molto importante. Io, volevo un po’ più di ambizione, devo confessare. Mi piacerebbe vedere un Rapporto con una forte base scientifica sui fattori di rischio sconosciuti e fattori non di rischio. Per il cancro, abbiamo 40-50% di decessi che avrebbero potuto essere evitati. Ma sappiamo anche che ancora non conosciamo il 50% dei fattori di rischio del cancro. D. Lei ritiene che il Piano affronti adeguatamente temi quali le disuguaglianze sanitarie e la prevenzione? R. Sì, in una certa misura. Sappiamo che le disuguaglianze sanitarie aumentano nelle popolazioni più emarginate o nelle fasce socialmente più deboli della popolazione. Le disuguaglianze ci sono e dobbiamo valutare l’intera popolazione ovviamente, ma dobbiamo mirare a interventi specifici per fasce di popolazione. Ad esempio, per i giovani ci sarebbe bisogno di una maggior regolamentazione sulla pubblicità , in particolare sulla pubblicità alimentare. Così come le persone che soffrono di altre malattie non trasmissibili, come le seguiamo? E i maggiori fattori di rischio che ci sono, ad esempio, per alcol, tabacco, cattiva alimentazione, inattività fisica e fattori ambientali: sono tutti temi che devono essere affrontati. Certo, c’è una parte importante legata alla prevenzione, ma c’è una parte in cui dobbiamo continuare a indagare lavorando di pari passo con il mondo accademico. Ad esempio qual è l’altro 50% dei fattori che causa il cancro? Stiamo parlando della seconda causa di morte nell’UE in questo momento. Ma con il cambiamento demografico, con le persone che vivono più a lungo, il cancro può entrare la prima causa di morte in un futuro non troppo lontano. Senza dimenticare tutte le altre malattie non trasmissibili. D. Quali saranno le sfide chiave per l’attuazione del Piano e quali dovrebbero essere le priorità tra quelle che Lei ha appena citato? R. Le sfide riguarderanno l’organizzazione dell’UE in materia di politica sanitaria. La difesa della salute pubblica è una competenza condivisa tra gli Stati membri e l’Unione europea ed è su questo che abbiamo lavorato così intensamente durante la pandemia di COVID-19. Tuttavia, l’assistenza sanitaria è una competenza esclusiva degli Stati membri. Ma abbiamo bisogno di entrambi, perché la protezione della salute pubblica va ben oltre la semplice assistenza sanitaria. Ovviamente, dobbiamo consentire agli Stati membri di sviluppare le proprie politiche sanitaria nazionali. I paesi membri sono in grado di fornire assistenza sanitaria, accessibilità alle cure e servizi alla popolazione. Tuttavia, su diversi fronti, come ad esempio il cancro, possiamo avere un quadro comune. E questo quadro comune deve integrarsi con i 27 diversi sistemi sanitari nazionali. Quella sarà la sfida più grande. Ma dal 2019 sono stati fatti molti passi avanti, anche se con il Piano per combattere il cancro siamo rimasti un po’ indietro a causa della pandemia. Ma ci dobbiamo rendere conto che la salute va oltre la semplice assistenza sanitaria. Quindi, sono abbastanza ottimista sull’attuazione del piano, anche se le sfide sono grandi. Da medico della sanità pubblica tra le priorità ritengo che la prevenzione dovrebbe essere l’elemento chiave. Se la prevenzione funzionasse, il 40-50% dei decessi potrebbe essere evitato. Stiamo parlando di un enorme quantità di malati che avremmo potuto evitare. Quindi, dobbiamo affrontare e assumere una posizione più forte sui fattori di rischio. Non è nostra intenzione vietare, ma è fondamentale informare adeguatamente la popolazione. Quindi, una delle nostre maggiori priorità dovrebbe essere una maggiore alfabetizzazione sanitaria per i cittadini: devono essere fornite loro le informazioni per poter fare le scelte che ritengono più adatte. Se vogliono ancora fumare tre pacchetti di sigarette al giorno, possono ovviamente, ma devono avere anche le informazioni per fare scelte responsabili e non essere scoprire per mancanza di cultura medica che ci sono fattori di rischio (legati a certi comportamenti) che possono portare al cancro. D. Sulla questione del tabacco, lei ha menzionato l’importanza di trovare una soluzione condivisa per consentire alla popolazione di fare scelte più sane. Pensa che sia stato trovato questo consenso? R. No, ma è una domanda complicata. Secondo me c’è già un certo consenso. Penso che ci sia una diffusa conoscenza che il tabacco è dannoso per la salute. Questo è ciò che anche la scienza ha stabilito. E il consenso è stato trovato su altri fattori di rischio e su come affrontarli. Ma al momento (sul tabacco) non c’è. Ci sono molti piccoli consensi, ma non un quadro comune, funziona così da anni. Ma non dobbiamo dimenticarci che ci sono molti cittadini che fumano sigarette e prodotti del tabacco. Quindi, è abbastanza difficile avere un approccio univoco. Penso che l’approccio dovrebbe essere personalizzato, su misura, per le diverse fasce di popolazione. Ad esempio, nel mio paese in Portogallo, abbiamo assistito a un aumento di donne, giovani donne che fumano tabacco. Ma non si può gestire quella fascia di popolazione allo stesso modo in cui affronteresti i consumatori di tabacco anziani, maschi, oltre i 55 anni. Il messaggio deve essere diverso. Quindi sono più per l’approccio su misura. D. Cambiando argomento e tornando alla pandemia, l’Unione Europea ha preso una posizione molto proattiva sul Covid -19, promuovendo una massiccia campagna vaccinale. Ma ci sono ancora alcuni Stati membri che hanno una parte importante della popolazione non vaccinata. Come membro del Comitato speciale sul COVID 19, quali sono i piani e le raccomandazioni al riguardo? R. Durante la pandemia, abbiamo avuto una differenza di quasi il 60% tra il tasso di vaccinazione più basso e quello più alto negli stati membri dell’UE: il 23% contro il 90%. È molto preoccupante perché significa che il messaggio non arriva a tutti in modo omogeneo, che invece è quello che vuoi che accada durante una pandemia, per spiegare che c’è un vaccino disponibile, sicuro ed efficiente. E’ importante capire e spiegare la situazione in anticipo. E qui vorrei sottolineare l’importanza della comunicazione sanitaria e del dare spazio agli scienziati e ai medici. In un anno abbiamo fatto una scoperta unica, quasi rivoluzionaria: un vaccino sicuro ed efficace contro una pandemia che ha avuto gravi conseguenze, non solo sulla salute, ma anche a livello socio economico, ma non siamo riusciti a comunicare in modo chiaro il fatto che abbiamo rispettato tutti i parametri di sicurezza. Non abbiamo mai scavalcato o ignorato le misure di sicurezza nello sviluppo del vaccino, ma in qualche modo questo messaggio è andato perso. E che il vaccino non fosse sicuro è diventato uno dei messaggi trasmessi dai no-vax. Inoltre il fatto che la Commissione dovesse gestire la situazione e negoziare per conto dei cittadini di tutti e 27 i paesi non ha aiutato. I cittadini hanno pensato: ma come, abbiamo pagato lo sviluppo di vaccini e ora dobbiamo pagare anche per comprarli. Tutto questo ha creato una sorta di sfiducia nell’intero processo, e penso che sia stato più accentuato in alcuni Stati membri rispetto ad altri. D. Quali ritiene siano state le lezioni chiave della pandemia? R. Ci sono molte lezioni chiave apprese durante la pandemia, ma penso che la lezione principale che non può essere trascurata, sia il ruolo che la salute, non l’assistenza sanitaria, la salute e la salute pubblica hanno per le società . Se la salute fallisce, tutto il resto fallisce. Penso che questo sia il messaggio chiave. Quando si fanno misure di intervento sulla salute pubblica ci vuole molto tempo, dieci, venti, trenta anni per vedere i risultati. Quindi, fare interventi sulla salute pubblica non è molto attraente per chi è in carica per quattro o cinque anni perché i risultati arriveranno molto tempo dopo e saranno altri a raccogliere i riconoscimenti. Ma c’è uno studio che afferma che per ogni euro che investiamo in salute pubblica, abbiamo un ritorno di 14 €, 14 volte di più. Un dato abbastanza incredibile. D. Parlando più in generale, l’Europa sta ancora affrontando molte sfide in ambito sanitario come le malattie non trasmissibili di cui Lei ha parlato prima o le cosiddette malattie eradicate che stanno tornando per mancanza di vaccinazione o disinformazione. E quali sono le questioni più urgenti di cui l’Unione europea deve occuparsi? R. Dovrei evidenziarne uno che è la resistenza antimicrobica. Nel secolo scorso, ci sono stati tre interventi di sanità pubblica che hanno aumentato le nostre aspettative di vita che prima erano inferiori di qualche decennio: sistemi idrici e fognari, vaccinazioni e antibiotici. Quindi dobbiamo lavorare molto duramente per combattere la resistenza antimicrobica, che c’è già . E ne conosciamo i rischi. Sviluppare nuovi antibiotici è un processo piuttosto (difficile), ci vogliono molti finanziamenti. E poi magari dopo poche settimane c’è una mutazione che rende inefficace l’antibiotico. Quindi non è molto conveniente lavorare su questo aspetto per chi fa la ricerca, ma lo è per l’intera popolazione mondiale. D. Un’ultima domanda. Lei è favorevole a una specifica Commissione sulla Salute nel Parlamento Europeo, o ha un’idea diversa su come può continuare il lavoro della commissione BECA? R. Sì, credo che ci sia la commissione ENVI, la più grande commissione all’interno del Parlamento europeo, che affronta due delle tre principali crisi che stiamo attraversando ovvero la pandemia, il cambiamento climatico e la guerra, anche se in modo indiretto. Direi che è giunto il momento, dopo il lavoro della Commissione BECA e alla luce di quello che stiamo facendo nella Commissione COVID, per discutere sull’opportunità di avere una commissione sanitaria autonoma con potere legislativo all’interno del Parlamento. E non dovrebbe essere una sottocommissione della Commissione ENVI. Se c’è una Commissione sanitaria, dovrebbe avere poteri legislativi. Penso che sia importante valutare il lavoro che è stato fatto dalla Commissione Beca e quello che faranno le Commissioni Covid ed Envi e poi valutare per la prossima le-gislatura la possibilità di avere una Commissione Salute autonoma. Grazie Dottoressa Cerdas per il tempo che ci ha dedicato. Le auguro tutto il meglio per l’importante lavoro che sta portando avanti. Grazie anche ai nostri spettatori e arrivederci alla prossima intervista di Askanews EU Verified Series. Grazie. Vi auguro una buona giornata.