Amnesty, violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità il 5 ottobre a Roma – askanews.it

Amnesty, violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità il 5 ottobre a Roma

Nov 29, 2024
Roma, 29 nov. – Amnesty International è preoccupata dal fatto che le azioni delle autorità italiane relative alla “Manifestazione nazionale per la Palestina”, svoltasi a Roma il 5 ottobre 2024, abbiano violato i diritti umani, compresi i diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica. Chiediamo alle autorità di condurre un’indagine indipendente, approfondita e imparziale su tutte le accuse di violazioni dei diritti umani durante la manifestazione del 5 ottobre e di prendere tutte le misure per facilitare il diritto alla libertà di riunione pacifica.

Amnesty International ritiene che il divieto preventivo imposto dalle autorità in vista della protesta in solidarietà con la Palestina sia stato discriminatorio e abbia violato i diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica e invita le autorità ad astenersi dal prendere tali misure e ad agire invece per sostenere e facilitare il diritto alla protesta pacifica. L’organizzazione esprime inoltre preoccupazione per le altre misure amministrative preventive adottate contro i manifestanti prima e durante della manifestazione del 5 ottobre, la dispersione ingiustificata della manifestazione e l’uso illegale della forza da parte della polizia contro chi manifestava pacificamente.

Il giorno della manifestazione, le autorità hanno comunicato verbalmente agli organizzatori che il divieto era stato parzialmente revocato. Tuttavia, questa revoca del divieto non è stata comunicata per iscritto e, secondo quanto riferito, la mancanza di chiarezza sul divieto potrebbe aver causato confusione tra gli agenti incaricati di gestire l’ordine pubblico durante la protesta. Il 5 ottobre, migliaia di persone provenienti da tutta Italia, profondamente preoccupate per i diritti del popolo palestinese, hanno manifestato per esercitare il loro diritto alla libertà di espressione e di riunione pacifica.

Amnesty International ha inviato un gruppo di osservatori qualificati alla manifestazione del 5 ottobre, come già fatto in relazione ad altre manifestazioni nel paese. Questa dichiarazione serve a riassumere le principali preoccupazioni in materia di diritti umani riguardanti la condotta delle forze di polizia durante la protesta. Le informazioni contenute in questa dichiarazione sono tratte da un’analisi delle informazioni raccolte da Amnesty International prima, durante e dopo la protesta, incluse le testimonianze di due membri dei gruppi di organizzatori, sette persone manifestanti (quattro donne e tre uomini), quattro avvocati che rappresentano le persone colpite dalle misure amministrative e un’organizzazione per i diritti umani, e l’analisi dei rapporti e dei filmati raccolti dalla sua squadra di osservatori che stava monitorando l’evento.

Tutte le informazioni raccolte sono state valutate alla luce degli standard internazionali e dei pertinenti obblighi legali che lo Stato italiano ha in base ai trattati sui diritti umani di cui è parte.
Prima della sua pubblicazione, Amnesty International ha condiviso i principali risultati e le preoccupazioni in materia di diritti umani contenuti in questa dichiarazione con il ministero dell’Interno, il capo della Polizia, il Questore e Prefetto della città di Roma, al fine di offrire loro la possibilità di rispondere e commentare in anticipo.3 Al momento della pubblicazione di questa dichiarazione, le autorità non avevano risposto.

Il divieto preventivo e discriminatorio alla manifestazione del 5 ottobre costituisce un’interferenza ingiustificata con i diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica
A settembre il ministro dell’Interno ha dichiarato pubblicamente la sua intenzione di vietare le manifestazioni che esprimono preoccupazione per i diritti umani dei palestinesi per evitare quella che ha definito una “celebrazione di un massacro”, riferendosi agli attacchi di Hamas e di altri gruppi armati del 7 ottobre 2023 in Israele. Successivamente, il 24 settembre 2024, il questore di Roma ha emanato un divieto preventivo per una manifestazione nazionale di solidarietà palestinese prevista per le ore 14 del 5 ottobre a Roma, notificata inizialmente come corteo da realizzarsi tra piazza della Repubblica e piazza S. Giovanni e finalizzata a “riaffermare il riconoscimento dello Stato di Palestina, la libertà del suo popolo e chiedere la fine della guerra”.

Secondo la decisione ufficiale di imporre un divieto preventivo, la polizia ha affermato che, dal suo punto di vista, “la manifestazione avrebbe potuto alimentare una spinta ideologica celebrativa del massacro consumato in danno dello Stato di Israele”. Nel provvedimento di divieto si specifica che “l’iniziativa avrebbe potuto assumere connotazioni lesive dello spirito commemorativo delle vittime delle leggi razziali e del sentimento di condanna dello sterminio del popolo ebraico” ed esprime timore, formulato in modo vago, che gli organizzatori dimostrino un atteggiamento “antigiuridico” perché hanno ribadito la loro volontà di tenere la manifestazione nonostante la dichiarazione del Ministro che tutte le manifestazioni di questo tipo sarebbero state vietate. La polizia ha concluso che l’incontro pubblico non sarebbe stato quindi “compatibile” al diritto di manifestare pacificamente, in quanto avrebbe potuto rappresentare “gravi turbative per l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Il 2 ottobre 2024, gli organizzatori hanno presentato ricorso al tribunale amministrativo del Lazio chiedendo la sospensione urgente del divieto e l’annullamento della decisione di introduzione del divieto; lo stesso giorno il tribunale ha rifiutato di sospendere il divieto di manifestazione sulla base del fatto che la formulazione vaga di pericolo per l’ordine pubblico inclusa nel divieto iniziale era a loro avviso fondata e che i tempi erano troppo stretti per svolgere un’indagine approfondita, venendo meno agli obblighi previsti dagli standard internazionali che richiedono un riesame efficace e tempestivo. Inizialmente il TAR aveva fissato un’udienza per il 29 ottobre per discutere della sospensione cautelare del divieto, ma gli avvocati degli organizzatori hanno rinunciato al ricorso per la sospensione urgente, in quanto la data dell’udienza del processo non avrebbe potuto garantire una sospensione effettiva dell’interdizione. Lo stesso tribunale amministrativo però dovrà fissare un’altra udienza per discutere le circostanze specifiche del divieto, potendo decidere di annullare il divieto in caso ritenesse che non sia conforme ai requisiti della legge. Alla data di pubblicazione della presente dichiarazione non era ancora stata fissata una data.
Anche un’altra manifestazione prevista per il 5 ottobre nella città di Torino è stata vietata dalla Questura locale, con la stessa motivazione non specifica e vaga di “rischio per l’ordine e la sicurezza pubblica in occasione dell’anniversario della strage e del rapimento degli israeliani”, imponendo che la manifestazione si tenesse in un’altra data ed “esclusivamente come raduno statico”.
In linea con gli standard regionali e internazionali sui diritti umani, le autorità hanno il dovere di rispettare, oltre che di proteggere attivamente e facilitare i diritti delle persone alla libertà di espressione e di riunione pacifica. Le autorità devono evitare qualsiasi interferenza ingiustificata con l’esercizio di questi diritti. Sebbene restrizioni limitate siano consentite dal diritto internazionale dei diritti umani, esse possono essere imposte solo in circostanze specifiche. Qualsiasi restrizione deve essere legittima, necessaria e proporzionata al raggiungimento di uno scopo legittimo e, in base al principio secondo cui le restrizioni dovrebbero essere “neutrali rispetto al contenuto”, non dovrebbero in generale mirare a limitare il messaggio che un’assemblea cerca di trasmettere. Inoltre, il divieto preventivo di una specifica assemblea deve essere una misura di ultima istanza e può essere giustificato solo quando tutte le altre restrizioni meno invasive si sono dimostrate inefficaci per raggiungere l’obiettivo prefissato, sulla base di prove specifiche raccolte attraverso una valutazione approfondita dell’assemblea specifica. Amnesty International sottolinea che anche se ci fossero prove che un piccolo numero di persone manifestanti potrebbe ricorrere alla violenza, questo non giustificherebbe l’imposizione di un divieto a quelle e quei manifestanti che hanno intenzioni del tutto pacifiche. L’imposizione di restrizioni così ampie e di vasta portata viola i diritti umani e rischia di rafforzare e perpetuare i pregiudizi razziali e gli stereotipi negativi contro le persone che esprimono solidarietà con i diritti umani del popolo palestinese e pertanto è discriminatoria.
Recentemente, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di opinione e di espressione ha espresso preoccupazione per la tendenza di diversi paesi a reprimere le proteste e le espressioni critiche “in modo sproporzionato e discriminatorio nei confronti dei gruppi palestinesi”, citando l’Italia come uno di questi . La relatrice speciale dell’ONU ha anche definito i divieti generalizzati o preventivi sulle manifestazioni a sostegno del popolo palestinese introdotti da diversi governi europei come “… arbitrari, che equiparano ingiustamente la difesa della Palestina ad attività antisemite o a sostegno del terrorismo, e discriminatori, in quanto nessuna manifestazione a sostegno di Israele sembra aver subito restrizioni specifiche”.

Preoccupazioni per i controlli illegali della polizia e misure preventive
Amnesty International è stata informata che alla fine, intorno alle 13.15 del 5 ottobre, lo stesso giorno in cui si sarebbe dovuta svolgere la protesta, la DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) ha comunicato verbalmente a uno degli organizzatori che avrebbero potuto tenere la manifestazione, ma in forma statica. Gli organizzatori hanno immediatamente condiviso l’informazione attraverso i loro account sui social media.
L’imposizione iniziale di un divieto, unita alla tardiva decisione di revocare il divieto e di permettere un presidio statico ha compromesso e limitato significativamente il diritto alla protesta pacifica. Molte persone che avrebbero potuto partecipare alla manifestazione potrebbero aver deciso di non partecipare a un evento vietato o potrebbero non aver saputo della decisione tardiva di consentire un raduno statico (o a quel punto, non essere in grado di partecipare all’evento), Inoltre, la polizia ha continuato a imporre controlli e misure preventive contro le persone che viaggiavano per partecipare alla protesta, mettendo così a repentaglio i loro diritti umani, tra cui il diritto di riunione pacifica, la libertà di movimento e di associazione.

Nelle ore precedenti all’evento, si sono moltiplicati i controlli preventivi e le verifiche dei documenti d’identità su numerose vie d’accesso a Roma capitale, anche lungo le autostrade e nelle stazioni ferroviarie, e anche all’interno della città di Roma da parte delle forze dell’ordine, in particolare polizia, carabinieri e DIGOS, che hanno preso di mira individui o gruppi di persone che partecipavano alla manifestazione o che erano percepiti come tali. In molti casi, le pratiche di arresto e perquisizione ai caselli autostradali e nelle stazioni ferroviarie hanno portato poi al trasferimento di decine di persone nelle stazioni di polizia e nelle questure per il controllo dell’identità.
Secondo le testimonianze raccolte da Amnesty International, decine di attiviste e attivisti diretti alla manifestazione sono stati trattenuti per diverse ore in varie stazioni di polizia della capitale, senza ricevere alcuna informazione sulle ragioni specifiche della loro detenzione.
Secondo la legge nazionale, le forze dell’ordine possono portare una persona sottoposta a un controllo d’identità in una stazione di polizia in due circostanze specifiche: quando la persona si rifiuta di fornire un documento d’identità o quando ci sono prove sufficienti che la persona abbia fornito informazioni o documenti falsi. Secondo le interviste raccolte da Amnesty International con avvocati e manifestanti fermati dalla polizia, nessuna delle due circostanze si è verificata per decine di persone che sono state sottoposte a controlli di identità prima dell’assemblea pubblica.
A molti di loro è stato infine notificato il “foglio di via” , una misura amministrativa preventiva che vieta la presenza di una persona in un determinato territorio diverso da quello di residenza. Queste misure vengono imposte dal Questore senza controllo giudiziario quando si ritiene che la “pericolosità sociale” di alcune persone possa costituire una minaccia per la sicurezza pubblica. I fogli di via emessi nei confronti delle persone prese di mira prevedevano l’obbligo di lasciare Roma entro un’ora e di non farvi ritorno per un periodo compreso tra i sei mesi e i quattro anni.
Secondo il decreto legislativo n. 159/2011, che ne regola l’applicazione, l’applicazione di questa misura deve basarsi sul rispetto di alcuni requisiti specifici, tra cui una valutazione circostanziata della pericolosità per la sicurezza pubblica dell’individuo interessato. Amnesty International ha già criticato in una precedente dichiarazione l’uso di questa misura amministrativa, poiché si basa su motivazioni vaghe ed è imposta dalle autorità amministrative senza una preventiva autorizzazione giudiziaria. I “fogli di via” violano i principi di legalità e di presunzione di innocenza, sono in contrasto con le garanzie del giusto processo e possono anche violare i diritti alla libertà e alla libertà di movimento.
Amnesty International ha parlato con cinque persone attiviste che il 5 ottobre sono state colpite dalle misure amministrative da parte della Questura e con i loro avvocati. Queste testimonianze hanno confermato che i “fogli di via obbligatori” sono stati imposti a persone la cui pericolosità sociale era stata desunta da precedenti provvedimenti amministrativi o, in alcuni casi, solo da rapporti di polizia e identificazioni basate su comportamenti e azioni strettamente legati all’esercizio del diritto di protesta pacifica, come la partecipazione a una manifestazione vietata o azioni di disobbedienza civile non violenta come l’imbrattamento di monumenti pubblici.
Ad esempio, G., una giovane attivista intervistata da Amnesty International, stava andando a Roma con un’amica alle 8:50 quando il suo bus è stato fermato al casello di Fiano Romano da un posto di blocco della polizia. L’agente ha chiesto a tutti i passeggeri di scendere per un controllo dei documenti e una perquisizione dello zaino. Dopo essere stata selezionata dalle autorità di polizia, insieme a un altro ragazzo, è stata trasferita in questura a sirene spiegate. In nessun momento le è stato chiesto se fosse effettivamente diretta alla manifestazione nazionale per la Palestina. Al termine degli accertamenti, le è stato notificato un “foglio di via” che le imponeva di lasciare Roma entro un’ora e le vietava di tornarvi per sei mesi. Nelle motivazioni del provvedimento è esplicitato che la sua “condotta di vita” suggeriva alla polizia che avrebbe commesso attività illegali nella città di Roma. Gli avvocati hanno confermato ad Amnesty International che il foglio di via è stato imposto in assenza di precedenti penali o amministrativi a suo carico.
Un’altra manifestante ha raccontato ad Amnesty International di essere stata fermata dalla polizia su un autobus alla stazione Tiburtina, dove le è stata controllata l’identità e poi è stata portata in commissariato, dove le è stato notificato un “foglio di via obbligatorio” di tre anni con la giustificazione di aver ricevuto dei “pregiudizi di polizia” (“precedenti di polizia”) di cui non era a conoscenza. Gli avvocati hanno confermato ad Amnesty International che il provvedimento è stato imposto nonostante l’effettiva assenza di procedimenti penali o amministrativi passati e/o in corso nei suoi confronti.
N., una manifestante diretta a Roma con un pullman organizzato da un movimento di solidarietà con la Palestina del nord Italia, ha raccontato che l’intero gruppo di 48 manifestanti è stato fermato a un casello a nord di Roma da 13 auto e 3 furgoni della polizia. Il gruppo è stato fermato intorno alle 13.30, quando il divieto di manifestazione era già stato revocato; sono stati trattenuti e sono stati prelevati i loro documenti d’identità per circa dieci ore; 14 di loro hanno ricevuto un “foglio di via obbligatorio”. Amnesty International è stata informata che nessuno di loro aveva precedenti penali.
Nei tre casi sopra citati, i manifestanti hanno presentato ricorso al Tribunale amministrativo contro le misure preventive; le udienze si terranno nelle prossime settimane.
In altri casi, invece, le forze dell’ordine hanno informato alcune persone fermate durante le operazioni di controllo che sarebbero stati emessi “fogli di via” nei loro confronti, informandole poi che la misura non sarebbe stata applicata se avessero accettato di non andare alla manifestazione. Questa pratica costituisce un’interferenza che, di fatto, ha impedito a molte persone di partecipare alla manifestazione.
Amnesty International è molto preoccupata per le pratiche di arresto e perquisizione applicate il 5 ottobre e per l’uso diffuso di strumenti come il “foglio di via” in modo esplicitamente mirato a impedire agli attivisti di entrare nei luoghi designati per le manifestazioni. Tali strumenti preventivi sono emessi dal Questore, senza controllo giudiziario, prima della commissione di reati o indipendentemente dalla commissione di ulteriori reati e sembrano basarsi su dannosi stereotipi negativi di persone che manifestano a sostegno dei diritti umani dei palestinesi, contro il rischio di genocidio a Gaza e per chiedere conto delle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Se inizialmente erano state concepite con una specifica motivazione da parte della legge, come la lotta alla criminalità organizzata, e sono quindi incluse nel cosiddetto Codice antimafia, ora vengono sempre più utilizzate come strumento di ritorsione contro gli attivisti per impedire loro di esercitare il diritto di riunione pacifica. La nostra organizzazione aveva già espresso preoccupazione per il fatto che, negli ultimi anni, i “fogli di via obbligatori” siano stati sempre più utilizzati contro persone attiviste di diversi movimenti, delegati sindacali di base e attivisti per la giustizia climatica, con l’obiettivo di ostacolare le loro attività e mettere a tacere il loro dissenso.
Le restrizioni alla libertà di movimento dei manifestanti pacifici, anche ai fini dei controlli di identità, devono essere legittime, necessarie e proporzionate. In assenza di motivi legittimi, tali restrizioni possono costituire una privazione arbitraria della libertà. Questo vale anche quando tali restrizioni derivano direttamente dall’esercizio di altri diritti, tra cui quello di riunirsi pacificamente.
L’arresto e l’allontanamento dei manifestanti nelle stazioni di polizia solleva preoccupazioni riguardo al diritto alla libertà e per molti individui sembra essere stato illegale, dato che per molti individui non erano soddisfatte le due motivazioni legali sopra citate (rifiuto di fornire un documento d’identità o prove di documenti falsi) e il loro allontanamento sembra essere stato finalizzato principalmente a impedire l’esercizio del diritto di protestare pacificamente. Si tratta inoltre di un’interferenza non necessaria e sproporzionata, che agisce ulteriormente come deterrente per i potenziali manifestanti.
Mentre si svolgevano numerosi controlli di polizia sulle strade di accesso a Roma e all’interno della città in direzione del luogo dell’assemblea, diversi account di social media hanno iniziato a diffondere la notizia, riferita dagli organizzatori , che le autorità avevano finalmente revocato il divieto sull’evento, a condizione che diventasse un raduno statico vicino alla stazione della metropolitana Piramide, nel centro di Roma. Le testimonianze degli attivisti che sono stati fermati dalla polizia prima di raggiungere la manifestazione o mentre entravano nell’area della manifestazione suggeriscono che la mancanza di chiarezza sulla revoca del divieto potrebbe aver causato confusione tra le forze dell’ordine circa la facilitazione dell’evento.
Secondo i membri del team di osservatori di Amnesty International e le testimonianze raccolte, la piazza di fronte alla stazione della metropolitana di Piramide è stata interamente circondata dalle autorità di polizia, con un accesso limitato sia all’interno che all’esterno per tutta la giornata. Questa pratica ha reso particolarmente difficile per i partecipanti uscire dall’area e, secondo le testimonianze delle persone attiviste e dei membri del team di osservatori, la polizia ha effettuato controlli sui documenti d’identità della maggior parte dei partecipanti che entravano nell’area.
Violazione del diritto alla libertà di riunione pacifica, compresa la dispersione ingiustificata e l’uso di forza illegale contro persone manifestanti pacifiche Amnesty International è preoccupata che le forze di polizia abbiano violato il diritto alla libertà di riunione pacifica disperdendo la manifestazione, in gran parte pacifica, e abusando di armi meno letali, tra cui gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e manganelli.
Da quanto appreso dall’organizzazione, dopo la fine del raduno statico, la polizia ha risposto ai tentativi di un piccolo gruppo di manifestanti di sfondare il cordone di polizia e agli scontri tra questo gruppo e la polizia usando cannoni ad acqua e gas lacrimogeni.

Secondo i membri della squadra di osservatori di Amnesty International e i filmati girati dalla stessa squadra e analizzati da Amnesty International, la polizia non ha tentato di calmare le tensioni e di trattare individualmente con chi lanciava oggetti o assumeva comportamenti violenti, ma ha iniziato a usare cannoni ad acqua e a sparare una quantità eccessiva di gas lacrimogeni direttamente sulla folla dei manifestanti, senza preavviso. L’uso massiccio di gas lacrimogeni, anche se non c’è stata una violenza diffusa, ha creato confusione tra i manifestanti, poiché le persone non potevano disperdersi facilmente a causa dei punti di ingresso/uscita limitati e controllati dalla polizia nell’area della manifestazione.
Successivamente, sempre senza alcun annuncio, la polizia antisommossa ha iniziato a caricare con i manganelli nel tentativo apparente di disperdere i manifestanti, colpendo chiunque riuscisse a raggiungere, comprese le persone che non erano impegnate nella violenza. I filmati esaminati dal nostro team di ricerca mostrano un gruppo di manifestanti – che in quel momento sono pacifici e non sembrano rappresentare una minaccia – che vengono spinti dagli ufficiali di polizia verso uno spartitraffico e colpiti dai manganelli mentre cadono a terra e altri manifestanti che vengono caricati e cadono a terra mentre semplicemente indietreggiano dalle forze di polizia.
Inoltre, nell’apparente tentativo di disperdere i manifestanti dalla piazza, la polizia è avanzata con i manganelli e con l’uso di due cannoni ad acqua e diverse camionette della polizia, sparando gas lacrimogeni anche verso i manifestanti pacifici che volevano lasciare la piazza. Gli osservatori di Amnesty International hanno dichiarato che le autorità non hanno annunciato la loro intenzione di disperdere i manifestanti, né di usare armi, né hanno provato a dare tempo alle persone che volevano andarsene di farlo. La polizia ha respinto i manifestanti che si sono accalcati nello spazio delimitato da camion e muri, impedendo loro di uscire in sicurezza dall’area. Secondo il team di osservatori, alcuni manifestanti sono rimasti bloccati alle uscite senza poter uscire, e alcuni di loro sono stati costretti a scavalcare i cancelli nella fretta di sfuggire ai gas lacrimogeni e all’uso dei cannoni ad acqua. I punti di uscita sono stati tenuti chiusi dalla polizia durante l’operazione di dispersione, poi successivamente sono stati aperti dei piccoli varchi, ma non erano di dimensioni adeguate per far defluire un gran numero di persone. Solo alla fine i varchi sono stati aperti quando le operazioni di polizia erano terminate.
L’organizzazione ritiene che la negazione da parte della polizia di sufficienti varchi di ingresso/uscita per consentire ai manifestanti di uscire facilmente e in sicurezza e/o l’incapacità dei responsabili dell’ordine pubblico di segnalare l’esistenza di tali varchi abbiano messo a repentaglio la sicurezza dei manifestanti che si sono trovati in uno spazio ristretto senza mezzi chiari, sicuri o adeguati per uscire dal luogo.
Amnesty International è inoltre preoccupata per il fatto che, durante la dispersione, la polizia ha trattato i media e gli osservatori come se fossero partecipanti all’assemblea, piuttosto che osservatori indipendenti. Tutti hanno il diritto di osservare, monitorare e riferire sulle assemblee e giornalisti e osservatori devono essere facilitati nel loro lavoro per essere in grado di effettuare il monitoraggio senza interferenze. La dispersione di un’assemblea non pone fine al diritto di monitoraggio e le forze dell’ordine non devono interferire con il monitoraggio solo perché l’assemblea è stata dispersa.
Amnesty International desidera notare che la sua squadra di osservatori ha visto almeno 10 manifestanti che hanno riportato ferite. I media parlano anche di tre manifestanti e un giornalista feriti. Secondo fonti della polizia, anche 30 agenti di polizia sono rimasti feriti.
L’approccio generale delle autorità durante le manifestazioni dovrebbe essere orientato alla comunicazione, cercando di prevenire l’insorgere di conflitti attraverso il dialogo e la mediazione, e di mitigare e risolvere pacificamente i conflitti che potrebbero verificarsi, attraverso tecniche di de-escalation.
Amnesty International ricorda che un’assemblea deve essere considerata “pacifica” anche in presenza di sporadiche violenze da parte di alcuni individui. La possibilità che un’assemblea pacifica possa provocare reazioni avverse o addirittura violente da parte di alcuni partecipanti non è di per sé una ragione sufficiente per vietare o limitare, o per procedere alla dispersione dell’assemblea, e le autorità devono garantire che coloro che rimangono pacifici possano continuare a esercitare i loro diritti senza che l’intera assemblea venga limitata o dispersa. Gli obblighi delle autorità (sia negativi che positivi) si estendono anche a coloro che cercano di lasciare un’assemblea dopo che questa è formalmente terminata”.

Inoltre, le autorità possono disperdere un’assemblea solo come ultima risorsa, quando c’è una necessità impellente e tutti gli altri mezzi non sono riusciti a raggiungere un obiettivo legittimo. In caso di violenza, la polizia dovrebbe innanzitutto concentrarsi sugli individui violenti e impedire che la violenza si diffonda, invece di disperdere l’intera assemblea. I partecipanti devono avere la possibilità di disperdersi volontariamente senza l’uso della forza da parte della polizia. Gli obblighi delle autorità (sia negativi che positivi) si estendono anche a coloro che cercano di lasciare un’assemblea dopo che questa è formalmente terminata.
Prima di usare la forza, la polizia deve avvertire preventivamente che intende usarla, dando tempo sufficiente alle persone per rispondere all’avvertimento. Inoltre, le armi con effetti indiscriminati (come i gas lacrimogeni) non devono essere utilizzate se non in modo necessario e proporzionato in circostanze di violenza diffusa contro le persone e quando non è più possibile contenere la violenza affrontando da soli gli individui coinvolti. I lacrimogeni non devono mai essere sparati direttamente contro le persone e possono essere usati solo in spazi aperti, dove sia facile per le persone allontanarsi. I cannoni ad acqua possono essere usati per disperdere i manifestanti solo se è lecito, strettamente necessario e proporzionato in caso di violenza diffusa. Non devono essere utilizzati contro i manifestanti solo per non aver rispettato l’ordine di disperdersi, e qualsiasi utilizzo deve essere il minimo possibile, dopo un chiaro avvertimento che lasci tempo sufficiente per conformarsi. Allo stesso modo, l’uso dei manganelli – armi da difesa personale (o per difendere un’altra persona) – deve essere preceduto da un chiaro avvertimento e, in ogni caso, non deve mai essere usato per disperdere un’assemblea pacifica. Le cosiddette “cariche di manganelli”, con la polizia che corre dietro alle persone per colpire chiunque si trovi a portata di mano, sono un uso illegale della forza e devono essere proibite. I manganelli possono essere usati solo in risposta mirata a persone violente o a una minaccia di violenza imminente.
All’indomani della manifestazione, il ministro dell’Interno italiano ha ribadito che la decisione del divieto era stata fondata e “basata su elementi oggettivi”, permettendo alle forze dell’ordine di “evitare che manipoli dì violenti si confondessero ancor più facilmente in una manifestazione significativamente più numerosa, per realizzare l’unico reale obiettivo di esprimere violenza”.

L’insistenza del ministero dell’Interno sul fatto che un divieto preventivo fosse una risposta appropriata a un rischio identificato di violenza da parte di un “manipolo” di individui – nonostante il fatto che la stragrande maggioranza delle persone che manifestavano sia rimasta del tutto pacifica – è in contrasto con il diritto internazionale dei diritti umani, che invece sottolinea l’obbligo delle autorità di proteggere il diritto di riunione pacifica di coloro che hanno intenzioni pacifiche. Il ministro degli Interni non ha riconosciuto l’uso illegale della forza da parte della polizia contro manifestanti pacifici.
L’Italia è tra i pochi paesi in Europa a non prevedere l’obbligo per gli agenti delle forze dell’ordine di indossare un codice identificativo individuale quando svolgono funzioni ufficiali. L’obbligo di indossare i distintivi di identificazione fornirebbe un’importante salvaguardia contro l’uso illegale della forza da parte delle forze di polizia e contribuirebbe a garantire che coloro che agiscono in violazione degli standard internazionali non rimangano impuniti. Amnesty International ribadisce l’invito alle autorità ad adottare una legislazione in linea con gli standard internazionali che preveda l’uso di codici di identificazione alfanumerici ben visibili sulle uniformi degli agenti impegnati in attività di ordine pubblico.