Roma, 28 giu. (askanews) – Insofferenza, nascosta, ma sempre più forte. Anche Giorgia Meloni, sua principale “amica” tra i leader europei, “non sopporta più Donald Trump”. A rivelarlo una fonte politica vicina alla premier. I continui cambiamenti di opinione, le mosse a sorpresa, i toni accesi e non di rado offensivi verso i partner e gli interlocutori creano il caos e un continuo senso di instabilità nelle relazioni internazionali e mettono in sempre maggiore difficoltà chi, come la premier italiana, aveva tentato di costruirsi il ruolo di “ponte” tra le due sponde dell’Atlantico.
Che poi, quel ruolo, Meloni non lo avrebbe proprio voluto. “Giorgia – spiega un’altra fonte – ha naturalmente sostenuto Trump nella campagna elettorale ma consapevole anche del suo buon rapporto con Joe Biden. Con la precedente amministrazione i rapporti erano positivi, la linea politica era consolidata ed equilibrata, non c’era da aspettarsi reazioni scomposte o terremoti. Poi, invece, ha vinto Trump, naturalmente ha festeggiato la vittoria e cercato di sfruttare la vicinanza politica. Ma abbiamo visto che con il tycoon queste cose valgono poco: è lui che dà le carte, senza guardare in faccia a nessuno”.
Sui dazi è arrivata la prima doccia fredda, la posizione sull’Ucraina ha creato forti imbarazzi – per non parlare del ‘maltrattamento’ di Zelensky nello Studio Ovale – anche sulla crisi Israele-Iran prima di far partire i bombardamenti Trump non si è consultato con nessuno, limitandosi ad avvertire a decisione presa lo storico primo alleato britannico e il cancelliere tedesco Friedrich Merz, ma non Meloni, svegliata a tarda notte ma dal suo staff.
E adesso la premier teme quel che Trump potrebbe decidere contro la Spagna. Per questo giovedì 26, quando ha lasciato L’Aja per trasferirsi a Bruxelles, è apparsa ai cronisti di cattivo umore e ancor di più quando è partita dalla capitale belga. Una sensazione che ha trovato conferme in chi ci ha parlato. Certo c’era anche il peso della stanchezza, ma il contrasto Madrid-Washington la impensierisce. Pedro Sanchez si è messo di traverso, ha firmato l’impegno a portare le spese al 5% del Pil entro il 2035 ma ha già detto che non intende superare il 2%. La risposta del tycoon è stata minacciosa: “È terribile quello che hanno fatto. Quando negozieremo sui dazi faremo pagare loro il doppio. La loro economia va bene ma potrebbe essere devastata se succedesse qualcosa”. Al di là del merito (Meloni e Sanchez sono politicamente e personalmente distanti), la presidente del Consiglio è preoccupata. Se davvero il presidente Usa volesse penalizzare Madrid, costringerebbe l’Europa a intervenire unitariamente a tutela degli spagnoli, facendo saltare l’ipotesi di accordo (tariffe al 10%) e costringendola a scegliere tra Ue e Usa. Senza considerare che Sanchez è già uscito rafforzato dal braccio di ferro.
“E basta co’ sto’ Trump”, potrebbe aver pensato nel suo romanesco la premier. Un po’ come quando, al Consiglio europeo, dopo l’ennesima impuntatura di Viktor Orban, allora buon alleato, i diplomatici la sentirono sbottare in modo colorito contro l’ungherese.
Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli