Difesa Ue, la critica di Meloni alla clausola di flessibilità – askanews.it

Difesa Ue, la critica di Meloni alla clausola di flessibilità

Asimmetria Patto stabilità a svantaggio dei paesi in deficit eccessivo
Giu 28, 2025

Roma, 28 giu. (askanews) – Alla riunione dell’Eurogruppo del 19 giugno, a Lussemburgo, il ministro dell’Economia e Finanza Giancarlo Giorgetti aveva sollevato una critica molto precisa (e confermata poi dallo stesso commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis), riguardo a una “asimmetria” presente nel meccanismo previsto dalla “clausola di salvaguardia nazionale” del Patto di stabilità, che sfavorisce pesantemente gli Stati membri (come l’Italia in questo momento) sotto procedura per deficit eccessivo. A questi paesi, in sostanza, non converrebbe chiedere l’attivazione della clausola, come hanno già fatto molti Stati membri, per poter usufruire della flessibilità che introduce nella sorveglianza di bilancio per favorire gli investimenti pubblici nella difesa.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ha riportato questa critica nella discussione tra i capi di Stato e di governo, durante il vertice Ue di Bruxelles del 26 giugno. E, secondo fonti diplomatiche italiane “diversi altri paesi membri hanno manifestato interesse sul tema, ed espresso critiche riguardo alla insufficienza delle flessibilità previste, per uno sforzo di bilancio richiesto che ora è aumentato al 3,5%, o al 5% del Pil”, rispettivamente per le sole capacità di difesa o più in generale includendo anche tutte le altre spese per la sicurezza, così come ha deciso, per tutti i paesi alleati il vertice Nato del giorno precedente all’Aia.

L’asimmetria consiste nel fatto che la clausola di salvaguardia nazionale (chiamata anche clausola di sospensione) consente ai paesi che non sono sotto procedura per disavanzo eccessivo di spendere a deficit per la difesa fino all’1,5% del Pil all’anno, oltre la soglia del 3% fissata dal Patto di stabilità. Questi Stati membri, in sostanza, possono avere un deficit fino al 4,5% senza che scatti per loro la procedura, e avranno poi quattro anni per rientrare sotto la soglia del 3%.

Per i paesi, come attualmente l’Italia (ma anche la Francia), che sono invece già in situazione di disavanzo eccessivo, la situazione è molto diversa: se spendessero fino all’1,5% del Pil per la difesa, non si applicherebbe a loro la sospensione di quattro anni delle normali regole di bilancio del Patto Ue. Resterebbero sotto procedura molto più a lungo, dovendo rispettare il percorso correttivo imposto, per tutto il tempo che servirebbe a tornare sotto il 3%.

Nel caso specifico dell’Italia, che secondo le previsioni del Tesoro dovrebbe poter uscire dalla procedura l’anno prossimo, riducendo il suo disavanzo al 2,9 del Pil, chiedere oggi l’attivazione della clausola di sospensione del Patto di stabilità significherebbe in sostanza restare in procedura per deficit eccessivo ancora per diversi anni, senza alcuno scomputo, con tutti gli svantaggi in termini di limitazione dell’aumento della spesa pubblica che il percorso di aggiustamento finanziario comporta.

Questo non significa che l’Italia non possa chiedere l’attivazione della clausola di salvaguardia dopo essere finalmente uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo, ovvero nel 2026 se tutto va come previsto, con la possibilità di ottenere poi lo scomputo dell’1,5% della spesa a deficit per la difesa nei successivi quattro anni. E il governo potrebbe intanto rivendicare il proprio grande successo finanziario, riconosciuto dall’Europa, nell’ultimo anno prima delle nuove elezioni politiche.

Va notato anche che alla critica italiana al meccanismo della clausola di salvaguardia si aggiunge quella che da tempo ha espresso la Germania, e che riguarda in particolare i quattro anni di sospensione: un tempo giudicato insufficiente, in particolare per la spesa in un settore come quello della difesa, dove gli approvvigionamenti non sono “già pronti su uno scaffale”: armamenti, munizioni e altri dispositivi militari “vanno ordinati all’industria militare, e poi ci vuole il tempo necessario per produrli, ma la spesa è calcolata alla consegna: e se vengono consegnati tre anni dopo, resta un solo anno per rientrare sotto il 3% del Pil”, hanno spiegato le fonti diplomatiche.

Ci sono due possibilità a questo punto: o cambiano le regole con una modifica legislativa, una cosa molto improbabile, visto che il Patto di stabilità è stato appena riformato, dopo essere stato sospeso a lungo a causa del Covid; oppure la Commissione europea decide di “interpretare” il Patto aggiungendo un nuovo livello di flessibilità, per garantire che sia applicato in modo equo e “simmetrico” a tutti gli Stati membri. Ma bisogna vedere se questo sarà possibile giuridicamente, e non giudicato come una forzatura eccessiva.

Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese