Roma, 18 giu. (askanews) – Primo sì del Senato al ddl di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. I voti a favore sono stati 109, i contrari 77, un astenuto. Il testo passa ora alla Camera per la seconda delle quattro letture previste. “La riforma sul Premierato passa in Senato. Un primo passo in avanti per rafforzare la democrazia,
dare stabilità alle nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati”, scrive su X la presidente del Consiglio Giorgia Meloni commentando il primo sì del Senato al ddl di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Un voto con qualche scintilla tra le opposizioni e il presidente del Senato: “Grazie per l’applauso, ma non può essere selettivo solo quando piace a voi: o c’è sempre o non c’è mai”, ha detto Ignazio La Russa, commentando il rumoroso gradimento espresso nei suoi confronti dai banchi delle opposizioni dopo che aveva richiamato il senatore di Fratelli d’Italia Marco Lisei a rivolgersi alla presidenza e non col “voi” alle minoranze dell’aula di palazzo Madama.
L’insolito intermezzo ha avuto luogo nel corso delle dichiarazioni di voto finali sul ddl costituzionale per l’introduzione del premierato. Nel corso dell’intervento di Lisei, contestato in diversi passaggi dal lato opposto dell’emiciclo, La Russa ha richiamato diversi senatori delle opposizioni all’ordine e al rispetto “dell’ordine dei lavori: parla per ultimo il rappresentante del gruppo più grosso”. Prima di aprire la votazione finale, La Russa ha comunque ringraziato i senatori per il clima “civile” del dibattito. Dopo l’approvazione del ddl, “tutti innalzano la Costituzione, a destra e sinistra, è un buon segnale”, ha detto. “Lo sappiamo, rappresenta tutti, dal primo all’ultimo articolo, compreso il 138 (quello che regola la procedura per le modifiche costituzionali, ndr)”, ha commentato il presidente del Senato.
Il ddl sul premierato è stato approvato dal Consiglio dei ministri il 3 novembre 2023. Il testo di quella che Giorgia Meloni chiama “la madre di tutte le riforme” – che oggi ha avuto il via libera del Senato – ha subito delle modifiche nel primo passaggio parlamentare e, con ogni probabilità, altre ne verranno fatte anche alla Camera. A non essere suscettibile di cambiamenti è il principio base, ossia quello dell’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Ecco cosa prevede la riforma.
NASCE IL PREMIERATO ALL’ITALIANA
Viene modificato l’articolo 92 della Costituzione e si stabilisce che “il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto” e che le “elezioni delle Camere e del presidente del
Consiglio hanno luogo contestualmente”. LIMITE AI MANDATI
E’ una delle novità inserite nel passaggio in commissione che ha modificato il testo originale. Si è infatti deciso che il premier eletto può restare in carica “per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l`incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi”. C’E’ IL PREMIO DI MAGGIORANZA, MA NON LA SOGLIA
Anche in questo caso, in commissione c’è stata una correzione non di poco conto. Il testo originale, infatti, fissava in Costituzione un premio di maggioranza del 55%. La riformulazione, invece, prevede l’assegnazione di un premio su base nazionale” che garantisca – si legge – una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche”. Si stabilisce, inoltre, che “il presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la candidatura”. NOMINA E REVOCA MINISTRI
La riscrittura dell’articolo 92 della Costituzione, prevede che “il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”. SFIDUCIA E DIMISSIONI
Viene modificato l’articolo 94 della Costituzione e vengono stabilite le procedure in caso di dimissioni o sfiducia del premier eletto. Anche in questo caso il testo originale è stato significativamente modificato attraverso il lavoro della commissione e successivamente attraverso una modifica di ‘drafting’ voluta dal governo durante l’esame in aula. Tra i nodi più discussi, quello del cosiddetto ‘secondo premier’ che, secondo alcuni costituzionalisti, finirebbe per avere alla fine
più potere di quello eletto dal momento che al proseguimento del suo incarico non ci sarebbero alternative se non il ritorno alle urne. Alla fine, la norma è stata cambiata rendendo più stringente la possibilità del presidente del Consiglio eletto di chiedere lo scioglimento delle Camere. Il testo finale prevede, dunque, che “in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. “Negli altri casi di dimissioni, il presidente del Consiglio eletto, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al presidente
della Repubblica, che lo dispone. Qualora il premier eletto non eserciti tale facoltà, il capo dello Stato conferisce l`incarico di formare il governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al leader dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento”. “Nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del premier eletto, il presidente della Repubblica conferisce
l`incarico di formare il governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio”. ADDIO SEMESTRE BIANCO
Sparisce il periodo di sei mesi precedenti alla fine del suo mandato, in cui il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere. Si prevede dunque che, qualora le circostanze lo
imponessero, il capo dello Stato possa sciogliere le Camere in qualsiasi momento. STOP SENATORI A VITA
E’ stato abrogato il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, ossia quello in base al quale “il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei
senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque”. IL NODO DELLA LEGGE ELETTORALE
La maggioranza ha annunciato che un testo sarà presentato dopo la prima lettura, nonostante in più occasioni l’opposizione abbia sottolineato come riforma costituzionale e sistema di voto siano
strettamente legati l’una all’altro. Tra i punti da sciogliere, oltre quello della soglia minima per accedere al premio, anche quello delle preferenze e dell’eventuale ballottaggio. IL PESO DEGLI ELETTI ALL’ESTERO
E’ uno dei problemi rimasti irrisolti nonostante sia stato sollevato in più occasioni e non soltanto dai costituzionalisti. Per gli italiani all’estero c’è infatti un numero prestabilito di eletti: 8 deputati e 4 senatori, dopo il taglio dei parlamentari. Tuttavia, trattandosi di milioni di potenziali elettori, il loro voto in termini assoluti potrebbe avere un peso maggiore fino a rischiare di essere decisivo.
dare stabilità alle nostre Istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati”, scrive su X la presidente del Consiglio Giorgia Meloni commentando il primo sì del Senato al ddl di riforma costituzionale che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Viene modificato l’articolo 92 della Costituzione e si stabilisce che “il presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto” e che le “elezioni delle Camere e del presidente del
Consiglio hanno luogo contestualmente”. LIMITE AI MANDATI
E’ una delle novità inserite nel passaggio in commissione che ha modificato il testo originale. Si è infatti deciso che il premier eletto può restare in carica “per non più di due legislature consecutive, elevate a tre qualora nelle precedenti abbia ricoperto l`incarico per un periodo inferiore a sette anni e sei mesi”.
Anche in questo caso, in commissione c’è stata una correzione non di poco conto. Il testo originale, infatti, fissava in Costituzione un premio di maggioranza del 55%. La riformulazione, invece, prevede l’assegnazione di un premio su base nazionale” che garantisca – si legge – una maggioranza dei seggi in ciascuna delle Camere alle liste e ai candidati collegati al presidente del Consiglio, nel rispetto del principio di rappresentatività e di tutela delle minoranze linguistiche”. Si stabilisce, inoltre, che “il presidente del Consiglio è eletto nella Camera nella quale ha presentato la candidatura”. NOMINA E REVOCA MINISTRI
La riscrittura dell’articolo 92 della Costituzione, prevede che “il presidente della Repubblica conferisce al presidente del Consiglio eletto l’incarico di formare il Governo; nomina e revoca, su proposta di questo, i ministri”. SFIDUCIA E DIMISSIONI
Viene modificato l’articolo 94 della Costituzione e vengono stabilite le procedure in caso di dimissioni o sfiducia del premier eletto. Anche in questo caso il testo originale è stato significativamente modificato attraverso il lavoro della commissione e successivamente attraverso una modifica di ‘drafting’ voluta dal governo durante l’esame in aula. Tra i nodi più discussi, quello del cosiddetto ‘secondo premier’ che, secondo alcuni costituzionalisti, finirebbe per avere alla fine
più potere di quello eletto dal momento che al proseguimento del suo incarico non ci sarebbero alternative se non il ritorno alle urne. Alla fine, la norma è stata cambiata rendendo più stringente la possibilità del presidente del Consiglio eletto di chiedere lo scioglimento delle Camere. Il testo finale prevede, dunque, che “in caso di revoca della fiducia mediante mozione motivata, il presidente del Consiglio eletto rassegna le dimissioni e il presidente della Repubblica scioglie le Camere”. “Negli altri casi di dimissioni, il presidente del Consiglio eletto, entro sette giorni e previa informativa parlamentare, ha facoltà di chiedere lo scioglimento delle Camere al presidente
della Repubblica, che lo dispone. Qualora il premier eletto non eserciti tale facoltà, il capo dello Stato conferisce l`incarico di formare il governo, per una sola volta nel corso della legislatura, al leader dimissionario o a un parlamentare eletto in collegamento”. “Nei casi di decadenza, impedimento permanente o morte del premier eletto, il presidente della Repubblica conferisce
l`incarico di formare il governo, per una sola volta nel corso della legislatura, a un parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio”. ADDIO SEMESTRE BIANCO
Sparisce il periodo di sei mesi precedenti alla fine del suo mandato, in cui il presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere. Si prevede dunque che, qualora le circostanze lo
imponessero, il capo dello Stato possa sciogliere le Camere in qualsiasi momento. STOP SENATORI A VITA
E’ stato abrogato il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione, ossia quello in base al quale “il presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Il numero complessivo dei
senatori in carica nominati dal Presidente della Repubblica non può in alcun caso essere superiore a cinque”. IL NODO DELLA LEGGE ELETTORALE
La maggioranza ha annunciato che un testo sarà presentato dopo la prima lettura, nonostante in più occasioni l’opposizione abbia sottolineato come riforma costituzionale e sistema di voto siano
strettamente legati l’una all’altro. Tra i punti da sciogliere, oltre quello della soglia minima per accedere al premio, anche quello delle preferenze e dell’eventuale ballottaggio. IL PESO DEGLI ELETTI ALL’ESTERO
E’ uno dei problemi rimasti irrisolti nonostante sia stato sollevato in più occasioni e non soltanto dai costituzionalisti. Per gli italiani all’estero c’è infatti un numero prestabilito di eletti: 8 deputati e 4 senatori, dopo il taglio dei parlamentari. Tuttavia, trattandosi di milioni di potenziali elettori, il loro voto in termini assoluti potrebbe avere un peso maggiore fino a rischiare di essere decisivo.