Roma, 4 mag. (askanews) – Scrivono dal Sudamerica, chiedono aiuto via Facebook dall’Australia, organizzano chat sui social, gruppi divisi per nazioni in cerca del volo perduto. Sono almeno settemila – scrive Gente d’Italia – gli italiani bloccati dalla pandemia in giro per il mondo, -conferma Caterina Pasolini su Repubblica – in viaggio di lavoro o di piacere, dall’Australia all’India, dall’Argentina al Marocco. I loro voli acquistati da varie compagnie sono stati cancellati, riprogrammati, cancellati a ripetizione. E se l’Italia è tra i Paesi Europei che ha portato a casa più cittadini di tutti gli altri gli altri paesi Ue, 72 mila, chi è ancora bloccato oltre oceano si sente dimenticato. Il ritorno per loro, bloccati in Argentina o a Tenerife, sembra sempre più una miraggio mentre i prezzi salgono. E dai quattro angoli del globo raccontano sì dei voli organizzati grazie dal ministero italiano per riportarli a casa. Alcuni gratuiti ma altri con velivoli commerciali e tariffe doppie, quadruple rispetto al solito, più di duemila euro dall’Argentina, 500 dal Marocco. E puntano il dito. “Noi siamo cittadini di serie B? Perché altri paesi fanno tornare gratis i loro concittadini approfittando dei fondi per i rimpatri europei che pagano anche il 75 per cento dei viaggi?”. Con questo sistema sono tornati a casa 50mila dei 500mila europei: oltre trentamila tedeschi, 3400 spagnoli, 2257 austriaci, 2470 belgi. Quasi duemila cechi, ottocento olandesi. E solo mille italiani. Il ministero guidato da Di Maio, che ha messo in piedi 500 diverse operazioni per riportare con aerei di linea e commerciali i nostri concittadini da 105 paesi, dice di aver valutato l’opzione usandola una sola volta “perché il Regolamento del Meccanismo Unionale di protezione civile prevede che esso possa essere attivato solamente per Paesi in cui non esiste opzione commerciale di rientro, come ribadito dal commissario Lenarcic. Questo per evitarne l’uso eccessivo, per assicurare rispetto dei principi di solidarietà, equità e proporzionalità. E che ci dovevano essere anche altri cittadini europei sul volo”. Uno dei punti fondamentali che ha spinto il Ministero a scegliere una sola volta questo meccanismo sarebbe che “la Commissione Europea si riserva solo a posteriori di dare il contributo, che va da un minimo dell’8 ad un massimo del 75% a fronte di un anticipo dell’intero costo del volo da parte dello Stato. E oggi la Commissione sta valutando 400 richieste di rimborso per una media di 250 mila euro a volo. Inoltre, l’obbligo introdotto in Italia di distanziamento a bordo degli aeromobili, che devono obbligatoriamente viaggiare dal 28 marzo a circa metà o 1/3 della capacità di carico, rende più complicata l’attivazione del meccanismo ed incide sia sulla necessità di assicurare a bordo una presenza pur minima di altri passeggeri UE (riducendo il numero di italiani trasportabili), sia sul costo del biglietto. La risposta da Bruxelles, che ha riportato a casa con questi fondi 50 mila dei 500 mila europei, quindi in totale meno di quelli portati dalla sola Italia con i suoi interventi, dice che non c’è limite numerico. Basta che i voli portino a bordo alcuni cittadini anche di altri partner Ue e soprattutto, spiega un portavoce dell’esecutivo comunitario: “Noi accettiamo tutte richieste da tutti i paesi, ma il meccanismo di protezione civile deve essere attivato dalle autorità nazionali”. E l’Italia lo ha chiesto una unica volta, a febbraio, per un operazione dal dal Giappone. Funziona cosi. In pratica è il Paese che organizza il volo e decide che se sia militare, commerciale di linea, per l’Europa è indifferente basta che ospiti nel tragitto anche viaggiatori di altri paesi della Comunità. Se c’è un volo che organizzato costa ad esempio 200 mila euro, l’Europa può pagare fino al 75% della somma anticipata, il resto tocca allo stato che però, dicono da Bruxelles, raramente chiede il rimborso al suo cittadino. Ed è questo che sperano gli ultimi italiani ancora bloccati all’estero.